Responsabilità, organizzazione, velocità, coordinamento, spazi, rete, autonomia, relazione, identità. Queste le nove parole che i nove circoli (quasi dieci) dell’Arci hanno scelto in occasione del loro quinto Congresso Territoriale.
Oltre alla scelta di una diffusione in diretta e podcast su Radiomatria.org, è stata prediletta la disposizione dei partecipanti in cerchio, simbolo di partecipazione attiva, anziché in forma plateale.
Il titolo del congresso “Io Siamo” si contrappone per scelta al titolo di uno sconcertante docufilm sul Cara di Mineo “Io sono io e tu sei tu”, il quale presto sarà (se non lo è già) proiettato in moltissime scuole e che definisce il Cara come un luogo in cui, a detta degli autori, “si vive dignitosamente, si raggiunge un’integrazione tra le varie etnie, i giovani studiano e i grandi imparano un mestiere” (sic!).
Dunque, che cos’è l’Arci? L’identità dell’associazione è stata più volte argomento di discussione durante i lavori congressuali.
Spesso chi sente parlare di Arci la associa automaticamente alle iniziative svolte nel campo dell’immigrazione, ma l’Arci non si occupa solo di integrazione.
I suoi circoli, disseminati nel catanese (Acireale, Misterbianco, Ramacca, Caltagirone… per citarne alcuni), sono impegnati in diverse attività che spaziano dall’interculturalità all’educazione non formale, dall’antimafia alla prevenzione della dispersione scolastica, dalla cultura alla tutela dell’ambiente.
Questi interventi spesso si intrecciano tra loro, intreccio che per altro è facilitato dal fatto che ciascuna di queste realtà associative, quando nasce, è già inserita in una rete.
Questa rete è il punto di forza dell’Arci, ed è volontà condivisa da parte di tutti i suoi membri cercare di rafforzarla all’interno e contemporaneamente estenderla alle associazioni esterne operanti sul territorio.
Ed ecco che più di un’ora del congresso è stata dedicata alla creazione di gruppi per aree di lavoro a cui i partecipanti, provenienti da circoli e paesi diversi, hanno aderito a seconda dei propri interessi, mettendo a confronto esperienze e idee per trovare dei punti di incontro e stabilire insieme degli obiettivi.
In questo modo è stato subito dato il via a una collaborazione intercircoli che è da considerarsi già operativa, anche grazie alle relazioni che si creano, prima ancora che tra i circoli, tra le persone.
Hassan Maamri, del circolo Amari, afferma che “l’Arci sta crescendo anche grazie a persone che non sono soltanto italiane” e spera che un giorno si possa parlare dell’Arci non più come un’associazione ricreativa culturale italiana, bensì internazionale.
Una speranza che, almeno in parte, si è concretizzata al momento dell’elezione dei membri del Direttivo, tra i quali vi sono anche una spagnola e una portoghese.
Ma per potersi esprimere al meglio qualsiasi realtà ha bisogno di spazi, e crearli non è semplice: molti circoli hanno avuto, e alcuni di essi hanno tuttora, difficoltà a trovare una sede.
Mauro Maugeri, referente per le politiche culturali, fa notare l’importanza dell’esistenza di spazi che diano respiro culturale alla città. “Anche se gli spazi scompaiono,” dice, “le persone non spariscono con loro” ma si riaggregano e ne creano altri. In questo fare politica creando spazi culturali, l’associazionismo si differenzia dai partiti, che la cultura l’hanno un po’ trascurata.
Dopo essersi raccontato e organizzato, l’Arci infine si rinnova. L’8 febbraio è stata infatti la giornata in cui sono stati eletti i nuovi dirigenti dell’associazione.
Si è optato stavolta per una presidenza condivisa, con un presidente coordinatore e portavoce attorno al quale lavorerà un Direttivo di dieci persone, ciascuna responsabile di un nucleo – già esistente o costituito all’uopo- in modo da permettere una divisione dei compiti e garantire una maggiore efficacia, anche in virtù delle passioni che muovono gli uomini all’azione.
Dario Pruiti, presidente neo eletto, cita a tal proposito il professore Pietro Barcellona: “L’uomo non è soltanto razionalità, logica, ma è anche e soprattutto passioni. Il modo in cui si compongo queste passioni e questa logica costruisce un vivere nella società. Quando guardiamo un uomo con la razionalità e dimentichiamo quella componente, che è altrettanto essenziale, delle passioni rischiamo di confinarlo in una dimensione assolutamente riduttiva, lo facciamo diventare un numero e quando si diventa numeri è più facile sciogliersi nell’individualismo.”
Come dice anche Mariagiovanna Italia, presidentessa uscente dopo otto anni, “Una volta non importava per chi si faceva qualcosa, importava solo farla.”
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