Sicilia, futuro anteriore. “Jano e i suoi amici da giovani suonavano in una rock band. Poi un giorno si resero conto che era troppo tardi. Per troppe cose.” Con queste parole gli autori della graphic novel Invito al massacro, Giovanni Marchese e Davide Garota, commentano un flashback inedito dedicato al passato del protagonista, riuscendo a concentrarvi lo spirito della loro opera: la disperazione e la rassegnazione di una generazione.
L’albo si apre con i pensieri di Jano Malacarne, di professione addetto alla pulizia dei bagni pubblici. È un uomo frustrato che vuole cambiare vita ma non ci riesce, perseguitato dalla madre, dalle vicine di casa, dal malocchio e dagli alieni.
Il personaggio ci viene mostrato in tutte le sue sfaccettature: in lui predominano la rabbia e la paura, ma riesce a emergere anche una dolcezza nascosta.
Un flusso di pensieri lo accompagna perennemente, mettendo a nudo il suo animo con la stessa facilità con cui lui spoglia con lo sguardo le donne che incontra. Il monologo interiore di Jano ci accompagna per le strade, sugli autobus, nelle piazze, nei cimiteri… una sorta di stream of consciousness siciliano.
Ed è così che assistiamo a due storie che scorrono parallelamente: da un lato ci sono le immagini, che ci mostrano l’azione e il luogo in cui essa si svolge, dall’altro c’è il testo che ci fa scoprire la psicologia del personaggio. Una sorta di doppio racconto, possibile soltanto in un film o, come in questo caso, in un fumetto.
Sfogliando le pagine pare proprio di respirare il clima di precarietà e crisi sociale, un degrado a cui siamo fin troppo abituati.
Restando in tema di degrado, come non fare caso alle scritte sui muri, ai cassonetti dell’immondizia stracolmi, allo squallore dei palazzi e alle carcasse per strada… Elementi che contribuiscono a conferire realismo all’ambientazione.
Ci sembra quasi di camminare assieme a Jano per le strade che percorre, e qualsiasi lettore siciliano sarebbe capace di affermare con certezza “Io questa strada la conosco”; eppure Jano non vive a Catania, a Palermo o a Messina, né in nessun’altra città o paese della Sicilia.
Giovanni Marchese si diverte, infatti, a rappresentare una Sicilia che esiste e non esiste al tempo stesso, facendo un collage di pezzi raccolti qua e là, in ognuno dei quali vi è un elemento caratteristico della nostra isola.
Nonostante il realismo dell’ambientazione e dei disegni, però, lo scopo degli autori non è raccontare una storia vera, anzi, per ammissione stessa dello sceneggiatore questa “è una storia dove il racconto sovente sconfina nelle dimensioni del sogno e dell’incubo”, e durante la lettura siamo costretti a realizzare, più volte, che quella che stiamo leggendo non è altro che un’opera di fantasia.
Un pezzo del puzzle che Marchese ha prelevato dalle sue esperienze per unirlo agli altri pezzi che danno vita a questo fumetto, è senza dubbio il dialetto siciliano, e gli omaggi linguistici che incontriamo leggendo non sono pochi.
Non vi sono solo proverbi e frasi in dialetto, l’influenza del siciliano è ovunque: persino le frasi in italiano sono strutturate secondo la sintassi del siciliano, e il testo è pieno delle ripetizioni che tipicamente abbondano nel parlato, così come la posposizione del verbo a fine frase..
Viceversa, alcuni termini sono stati italianizzati per facilitare la comprensione a chi siciliano non è e, sebbene sembra che perdano di sapore, non bisogna dimenticare che ciò è stato fatto in modo da non privare nessuno di un assaggio del nostro dialetto, che peraltro contribuisce enormemente a caratterizzare sia la storia che i personaggi che la compongono.
L’uso del dialetto garantisce infatti una immediatezza e una concentrazione di significato, e la sua forza espressiva è tale che alcune frasi sarebbero intraducibili.
Ma non dobbiamo dimenticare che gli autori di questo fumetto sono due. Davide Garota con i suoi disegni ha svolto il suo ruolo in maniera egregia, e nonostante non sia siciliano è riuscito a rappresentare perfettamente non solo il degrado urbano – la cui decadenza è resa ancora più suggestiva dai colori lividi -, ma anche quello psicologico e sociale dei personaggi.
La loro fisionomia è a tratti vaga e imprecisa e a tratti molto accurata, e i dettagli aumentano man mano fino a raggiungere momenti di massima espressività. Questo avviene soprattutto per i primi piani, che quindi, oltre a godere dell’effetto scenico che gli è proprio, sono arricchiti dal disegnatore che particolareggia ulteriormente i volti dei personaggi fino a far loro assumere delle espressioni sempre più contorte, caricaturali e grottesche.
Un effetto voluto se teniamo contro di altri fattori: dalla scelta dei colori, all’omaggio a Caravaggio in copertina, con Jano&co ritratti come nella Cena in Emmaus, con l’unica differenza che l’attenzione dei presenti non sembra attirata dal Cristo risorto, bensì dal vassoio di cannoli al centro della tavola.
Altre citazioni musicali, letterarie e cinematografiche abbondano sia nel testo che nei disegni (il titolo stesso dell’opera non è altro che un omaggio al gruppo musicale Massimo Volume), citazioni che sono intrecciate alla storia del protagonista da un filo sottile, quasi invisibile, ma di cui non parleremo per non togliervi il piacere di coglierle.
Un espediente che merita una mensione è il modo in cui Marchese ha deciso di rappresentare il discorso politico dell’onorevole Liotro, un perfetto esempio di comunicazione visiva che non si avvale del testo scritto e anzi, proprio per l’assenza di tale testo acquista maggiore forza.
Jano, dunque, è un tipico antieroe, non è bello, non appare intelligente e le sue azioni non sono particolarmente esemplari né esenti da critiche. Nel corso della storia veniamo messi a conoscenza delle sue debolezze, dei suoi difetti, delle sue paranoie, e forse è proprio per questo che riusciamo ad affezionarci a lui: perché non è perfetto.
Sebbene la sua visione del mondo sia stravolta, ha una sua concezione di giustizia che lo spinge a ribellarsi con la violenza quando tutto minaccia di sommergerlo.
Tuttavia resta un personaggio che, seppure in negativo, o forse proprio per questo, ci offre la possibilità di confrontarci con le paure inconfessate della nostra società.
In conclusione, questa graphic novel si distingue per i diversi elementi che gli autori hanno inserito e amalgamato insieme, ai quali si aggiunge la piacevolezza di una storia sempre bella da rileggere. Le sue molteplici sfumature fanno sì che ciascun lettore possa dare la sua chiave di lettura, e il fatto che non ne esista una sola è senz’altro uno degli effetti voluti dagli autori.
* Invito al massacro, soggetto e sceneggiatura di Giovanni Marchese, disegni e lettering di Davide Garota, pubblicato da Tunué
Gli ultimi articoli - Cultura
Un intervento sbagliato per il quale si potrebbe configurare anche un danno erariale. E’ quello compiuto
Tornano su Argo i catanesinpalestina per parlarci della edizione 2024 del Nazra Palestine Short Film Festival
Le notizie che provengono da Gaza e dalla Cisgiordania sono sempre più drammatiche, oltre 42.000 morti,
Guidati ancora una volta dalla penna esuberante di Nino Bellia, scopriamo un originale artista che, da
La levata di scudi contro l’ipotesi di abbattere gli Archi della Marina dimostra quanto essi siano