La sede è quella del Dipartimento di Scienze politiche e sociali, già Facoltà di Scienze politiche di Catania. L’aula I (I come la terza vocale) del terzo piano è gremita; i 120 posti sono in prevalenza occupati da ragazze chè i ragazzi sono solo 8. Una minoranza che è comunque un successo e non solo perché rispecchia la proporzione donne/uomini della facoltà, ormai ampiamente femminilizzata, ma perché fino a qualche anno fa, probabilmente, non ne sarebbe venuto nessuno.
Studentesse e studenti, infatti, sono là per seguire la prima lezione dei corsi e laboratori sulle tematiche di genere che l‘Ateneo catanese ha istituito. Eh già, perché l’Università di Catania ha varato per la prima volta in Sicilia, un’offerta didattica interdisciplinare e interdipartimentale, corsi liberi e laboratori di «altre attività» dedicati alle tematiche di genere e aperti agli studenti e alle studentesse di ogni dipartimento dell’Ateneo, indipendentemente dal corso e dalla classe di laurea. Uno degli otto ragazzi si chiama Marco ed è lì – ci dice- “perché non ho mai pensato che i corsi di genere siano corsi solo per le donne ma per tutti”.
La prima lezione è tenuta da Graziella Priulla, sociologa della comunicazione e della cultura, che da anni si occupa di questioni di genere. Dedica la lezione a due donne. Una è stata uccisa dall’uomo che diceva di amarla; era una studentessa, impegnata e femminista, dell’Università di Catania, Stefania Noce.
Il viso dell’altra campeggia in una schermata proiettata alle spalle della docente. E’ Malala Yousafzai, una ragazzina pakistana ferita gravemente alla testa e al collo dai talebani che volevano impedirle di studiare. Ora è candidata al Nobel per la pace. Accanto al suo volto, sulla stessa schermata, una sua celebre frase:“Un bambino, una bambina, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo”.
E’ importante la cultura e sono importanti le parole e il loro significato. “Mai dire parole a casaccio- avverte Graziella Priulla – perché chi usa a casaccio le parole usa anche la testa a casaccio”. Così la lezione comincia con una serie di puntualizzazioni: il genere, che non è uno ma due, la differenza che è un valore, e poi gli stereotipi che creano pregiudizi e ancora lo stigma, marchio d’infamia. Sesso e genere non sono sinonimi.
E intanto per tutta la durata della lezione un’altra dedica, muta, a tutte le donne che non possono essere lì perché hanno subìto l’estrema violenza, il femminicidio. Per loro, su una sedia libera, una sciarpa rossa e un cartello “Posto occupato“; lì potrebbero sedersi se fossero ancora vive.
A questa prima lezione altre ne seguiranno. Le questioni di genere nella comunicazione, nel diritto, nel lavoro, nella partecipazione e nella rappresentanza politica, sono affrontate dai docenti del dipartimento di Scienze politiche e sociali; i laboratori (Genderlab) del Disum si occuperanno della intersezioni tra «genere» e lingua inglese, diritto internazionale, linguaggio giuridico, antropologia, cultura inglese e spagnola, cinema, letteratura antica, moderna e contemporanea, storia moderna e contemporanea, religioni. Scienze della Formazione affronterà invece le tematiche legate alla medicina di genere, alle professionalità educative, alla costruzione dell’identità adulta al femminile, alle questioni di genere nella giurisprudenza comunitaria e costituzionale.
Il calendario dettagliato dei corsi è disponibile sul portale internet dell’Università, offerta formativa per tutti i corsi di laurea.
L’iniziativa è dei dipartimenti di Scienze della Formazione, Scienze politiche e sociali e Scienze umanistiche in collaborazione con il Comitato pari opportunità, il Comitato paritetico sul fenomeno del mobbing e con i delegati del Rettore, Bianca Maria Lombardo e Antonio Pioletti.
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