Ospedali, un'Agenzia per sapere se mi curano bene

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Non è una battuta ma una delle realtà che cominciano ad emergere da quando le strutture di ricovero, pubbliche e private, sono sottoposte ad un sistematico monitoraggio sulla qualità delle loro prestazioni.
L’indagine è stata condotta finora in modo sperimentale e riservata agli addetti ai lavori da una struttura del Ministero della salute, l’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali). Ma nel giro di pochi mesi i suoi dati, in una versione semplificata, saranno consultabili on-line da tutti gli utenti.
Così ha promesso il ministro Balduzzi quando ha presentato gli ultimi risultati del Programma nazionale di valutazione degli esiti (Pne).
Dove si ricorre più spesso al parto cesareo piuttosto che a quello spontaneo? Quanto tempo deve attendere un anziano che si è rotto il femore per entrare in sala operatoria senza rischiare danni permanenti? Quanti i casi di mortalità entro 30 giorni dal ricovero per chi è stato colpito da ictus?
L’indagine si è mossa sul piano della concretezza cercando di dare risposte statistiche rispetto a 42 prestazioni specifiche, con quadri che individuano, rispetto ad una media nazionale, le strutture capaci di offrire buone pratiche e quelle che non lo sono.
Sono dati che consentono di apprezzare la qualità del servizio sulle singole prestazioni, dalla mortalità in seguito agli interventi, ai tempi di attesa per specifiche operazioni, passando per la durate delle degenze, il numero di interventi che vengono effettuati per specifiche condizioni e le procedure chirurgiche che vengono utilizzate. Risulta infatti, ad esempio, che dove si fa meno esperienza sul campo aumenta il rischio di mortalità.
Dal punto di vista territoriale, pur non essendo i dati univoci ma, il più delle volte, a macchia di leopardo, le strutture del centro-nord sembrano essere in grado di rispondere meglio alle esigenze degli utenti.
Non è che al centro-sud manchino casi di eccellenza; ci sono addirittura casi curiosi, come quello che riguarda la mortalità da infarto miocardico entro 30 giorni dal ricovero. I cinque casi migliori -fra cui c’è anche l’ospedale ‘Garibaldi’ di Catania- e i cinque peggiori rispetto alla media nazionale, sono entrambi al sud.
Ma è altrettanto significativo, ad esempio, che nel caso del rapporto fra parti cesarei e parti spontanei, tutti le strutture che si allontanano pesantemente dalla media nazionale, che è del 27,42%, si trovano al centro sud. Tra le strutture poco virtuose c’è la catanese clinica privata accreditata ‘Lucina’, dove si arriva all’84,8%, ma sono state censite situazioni in cui si eseguono anche oltre il 90% di cesarei sul totale dei parti.
Ancora, per quanto riguarda la mortalità da ictus a 30 giorni dal ricovero, a fronte di una media nazionale dell’11,61%, i dieci risultati peggiori -che arrivano fino al 37,4%- sono stati conseguiti da strutture del centro-sud, fra cui l’ospedale ‘Trigona’ di Noto.
Stesse considerazioni valgono, in linea di principio, per la tempestività con cui vengono operate le fratture al femore di persone anziane o la mortalità a 30 giorni dal ricovero per intervento di bypass aortocoronarico. In quest’ultimo caso, fra le strutture meno efficienti figura l’ospedale ‘V.Emanuele’ di Catania, con una media di decessi dell’8,7%, notevolmente più alta rispetto a quella nazionale che è del 2,45%.
Saranno informazioni, non classifiche -tengono a sottolineare al Ministero-,  utili, ad esempio,  per orientare le scelte e i consigli dei medici generici, ma che potranno anche servire, almeno si spera, a rimotivare quelle strutture che non sono riuscite finora ad esprimere tutte le loro potenzialità. Realtà che si sta già verificando in molte Regioni e in singole strutture, proprio a partire dal pungolo esercitato dagli esiti di queste indagini.
Nella prospettiva di far uscire la politica dagli ospedali, come vanno salmodiando tutti i candidati alla presidenza della Regione Sicilia, questa potrebbe essere una delle leve da usare per indirizzare le scelte sulla via del merito e non della clientela.
Si potrebbero infatti utilizzare questi dati, e non solo quelli economici, per valutare i direttori generali, come sta già accadendo nella Regione Toscana.

1 Comments

  1. In realtà anche in toscana non è oro tutto quel che luccica.
    In pneumologia a Pisa per esempio (ricordando che per motivi politici ci sono ben 3 primari di 3 penumologie diverse, di cui 2 universitarie)hanno chiesto il taglio di una % (non ricordo se l’8 o il 20%) di spesa entro il 2013, perchè l’ospedale rischia il commissariamento. Per la pneumologia in particolare, l’assurdità è che ci si chiede di risparmiare sulle cose più costose, cioè sugli antibiotici. Peccato che una buona maggioranza dei nostri pazienti sono anzini defedati, colonizzati da germi multiresistenti, e se i direttori e i medici decidessero di seguire in tronco la direttiva, questo significherebbe, sostanzilmente, lasciarli morire.
    Sempre per motivi politici, a Cisanello, gli sprechi per motivi di potere politico non mancano. La pneumologia ( che rischia di essere chiusa, nonostante i malati respiratori siano in aumento) è stata traslocata a forza dal dipartimento nato apposta per lei (dip. cardiotoracico) dove stava sopra la cardiologia, la terapia intensiva, una parte della radiologia e della medicina nucleare dedicata alle scinigrafie polmonari – tutte attività fondamentali per la pneumologia stessa -per fa posto all’ennesima cardiologia – politicamente molto più potente. Peccato che per far questo sono stati fatti 3 traslochi (la nuova cardiologia è finita al posto della pneumologia che è andata al posto delle malattie infettve e le malattie infettive si sono trasferite al piano superiore, vuoto), quando bastava far traslocare la nuova cardiologia nel locale vuoto. E oltre al costo del trasloco, ormai sono necessari i costi di svariate ambulanze per portare i pazienti penumologici al dip. cariodtoracico, dove ancora ci sono i servizi a loro necessari.
    Insomma anche in Toscana, a Pisa, nell’ospedale di alta specializzazione… c’è molto da lavorare.

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