Ragazzi in fuga dal Maghreb, sotto i rimorchi

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Non arrivano solo con le carrette del mare, e non sempre sbarcano a Lampedusa. Come meta hanno comunque l’Europa e il primo approdo è quasi sempre l’Italia, spesso la Sicilia. Soprattutto quando si viene dal Maghreb e si cerca un nascondiglio sotto il rimorchio di un camion. Non parliamo di ipotesi, e nemmno della sceneggiatura di un film, fosse anche il bellissimo “Cose di questo mondo” di Michael Winterbottom.
Parliamo in questo caso di una esperienza vera, recente, vissuta da alcuni giovanissimi Tunisini e raccontata, con immagini e con parole da un testimone particolamente attento e sensibile, Giovanni Sciolto. Nel suo blog l’ha intitolata “In ginocchio a La Goulette”

Nemmeno vent’anni. In ginocchio con gli occhi bassi e le mani alla nuca. E’ forse la più emblematica immagine, postuma (così pare), del regime Ben Ali/Trabelsi.
Sono una decina, nella notte tra il 6 e il 7 agosto 2011, al porto di La Goulette, Tunisi, scovati dalla torcia elettrica in uno dei minuziosi controlli sui tanti rimorchi pronti a imbarcarsi per l’Italia.
Sono i ragazzini delle periferie della capitale.
Viene da tenerli bassi gli occhi, anche ai passeggeri più sensibili della nave. E’ la realtà figlia di ventiquattro anni di sfacciato e umiliante teatro che ha abusato della sopportazione di migliaia di giovani tunisini, attori mutilati e dalle bocche cucite.
Li fanno alzare, mani alla nuca, e li portano via in un furgoncino. Poco dopo dagli scomparti sotto un altro rimorchio un ragazzino viene tirato fuori zoppicante. E’ scalzo, ha pantaloncini sgualciti e la maglia dell’ Espérance, quella col numero 10 di Darragi.
Il piccolo Darragi è rimasto a terra. Potrà tornare a casa e raccontare al padre che ha provato ad andare in Europa ma non ci è riuscito. Potrà dirgli che anche gli altri ragazzi sono stati scoperti.
E il padre non piangerà.
Per tutto il viaggio di ritorno mi rimbombano in testa le parole di Samir con cui avevo discusso una settimana prima nella medina di Tunisi.
Raccontandomi, in italiano, del suo tentativo di bruciare la frontiera su una barca di sette metri insieme ad altre 27 persone ricordò dell’altra barca, quella colata a picco e i cui passeggeri sono morti a largo di Kerkennah.
“Quando ho rimesso piede sulla terraferma, a Mahdia, ho ringraziato Dio. E’ stato come rinascere. Sono andato vicinissimo alla morte. Ad aspettarci c’era anche un vecchio che piangeva. Era il padre di uno dei ragazzi che erano morti. Sperava di vedere suo figlio tra di noi e invece…lui non c’era più“.

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