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Cozzo Matrice, un sito archeologico da valorizzare. Lo facciano i tecnici, non i politici

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necropoli di Cozzo Matrice, tomba a camera

Un sito archeologico poco noto al grande pubblico, ma ricco di testimonianze suggestive di grande valore, è oggi al centro di una polemica tra chi pretende di essere autore del suo recupero e chi ritiene che sia stata avviata una operazione di protagonismo politico condotta da personale non adeguatamente specializzato.

Parliamo di Cozzo Matrice in territorio di Enna, un piccolo gioiello con evidenze che vanno dall’età del rame (IV mil aC) all’età greca arcaica (VII sec aC), di cui ci siamo già occupati raccontando dei progetti di valorizzazione avviati in passato dalla locale Soprintendenza, rimasti purtroppo in parte inattuati. Ne parla in un articolo l’archeologa Francesca Valbruzzi, che di questi progetti, negli anni 20215-20217, è stata una delle promotrici.

La svalutazione del ruolo degli archeologi, una delle “anomalie nella amministrazione dei beni culturali in Sicilia”, è uno dei fattori che sta impoverendo l’autorevolezza delle principali istituzioni isolane, dove l’ultimo concorso per assumere figure tecniche risale a 25 anni addietro e dove a dirigere i parchi archeologici vengono nominati agronomi o ingegneri edili piuttosto che archeologi.

Di questa anomalia Argo si è già occupato in varie occasioni, riportando anche le iniziative intraprese per impedire – ad esempio – che i soldi del PNRR fossero spesi senza “i lacci e i lacciuoli della tutela scientifica da parte di archeologi e storici dell’arte”, .

Ad indicare il carattere essenziale del ruolo di questi ultimi, citato esplicitamente da alcuni articoli del Codice dei beni culturali e del paesaggio, è anche un giovane studente di Enna che ci ha scritto una lettera aperta a proposito di quello che sta avvenendo attorno al sito di Cozzo Matrice.

La pubblichiamo perché riteniamo che contribuisca ad arricchire il dibattito.

Cozzo Matrice in mano ai partiti? (lettera aperta)

Leggendo La Sicilia di Lunedì 7 Luglio ho avuto modo di apprendere quella che, almeno dal titolo, pareva essere una notizia eccezionale, una di quelle che ti migliora la settimana; “Via alla valorizzazione di Cozzo Matrice per scopi turistici”.

Continuando a leggere l’articolo, entusiasta di questa strabiliante novità, ho avuto modo di constatare che “è partita un’attività di recupero e valorizzazione del sito, promossa dal cultore di storia locale Gaetano Cantaro”, e devo ammettere che, in corrispondenza di questo passo, il mio entusiasmo è venuto meno. Da giovane di studente di scienze umanistiche, avendo studiato archeologia classica, storia greca e storia romana (tra le altre), non mi era mai capitato di imbattermi in opere di valorizzazione di siti archeologici promosse da “cultori di storia locale” che, i lettori concorderanno con me, non corrisponde a titolo di studio né tanto meno a competenza specifica, per quanto essere cultori della storia locale possa essere cosa lodevole.

L’elenco dei promotori di questa valorizzazione continua, e tra questi figurano l’On. Eliana Longi; chi condivide invece l’operazione, stando all’articolo, sono il Direttore del Parco Archeologico Carmelo Nicotra, il sindaco Dipietro e l’assessore alle politiche ambientali Vasco, i quali “hanno già messo in campo le risorse”.

Pare che il cultore di storia locale (qualsiasi cosa voglia dire) “con l’Assessore regionale per i beni culturali Scarpinato ha sostenuto la necessità che il sindaco di Enna venga inserito nel comitato tecnico scientifico del Parco” (lodevole che un libero cittadino lo abbia fatto, triste da un punto di vista prettamente politico che il Sindaco ne abbia bisogno). “Sono iniziati i lavori di bonifica che su indicazione di Cantaro si sono concentrati sulla necropoli”.

Al netto dell’inesattezza storica nell’affermare che “Cozzo Matrice rappresenta la nascita della comunità ennese e la sua identità”, ignorando secoli di dominazioni, emigrazioni, immigrazioni, etc. etc. (quali tratti dell’identità sicula dell’età del rame corrispondono all’ “identità ennese”? le loro credenze, usi, costumi?), decido quindi di informarmi sulle figure citate nell’articolo, cercando sui social ulteriori notizie.

Parto dal cultore, che dai social risulta essere un avvocato, Gaetano Cantaro. Tra le foto dove si erge tra i resti del sito, trovo un post in cui, in data 23 giugno, afferma che “a margine del convegno organizzato dall’On. Longi, ho avuto modo di confrontarmi proficuamente con l’Assessore Regionale ai beni culturali Scarpinato, al quale ho proposto iniziative inedite volte al recupero e alla valorizzazione del patrimonio culturale ennese”.

Risulta quindi evidente il forte legame tra operazione di bonifica ed il partito della Longi. In un altro post scrive; “si va avanti a grandi passi nel percorso di recupero e valorizzazione di un’area che rappresenta il nucleo originario della comunità ennese (ma quale comunità ennese? stiamo parlando di una civiltà dell’età del rame di cui non sappiamo quasi nulla!)” e, quando alcuni utenti chiedono spiegazioni, l’Avvocato risponde; “sto provvedendo personalmente a guidare gli operai tra le sterpaglie. Abbiamo appena iniziato”.

Tra i tag sul profilo Facebook, trovo quello di Jacopo Gessaro, Presidente di Gioventù Nazionale, la giovanile della Meloni, che ha pubblicato delle foto che ritraggono il cultore avvocato Cantaro, il segretario di FDI Enna Arangio e lui sopra una Jeep mentre fanno un sopralluogo del sito. Ecco finalmente spiegato l’arcano!

Sia chiaro: tutti noi ennesi dovremmo essere felici che un sito archeologico come Cozzo Matrice sia valorizzato e finalmente reso fruibile (a noi ennesi e ai turisti, creando movimento culturale ed economico) ma è giusto che noi cittadini ci chiediamo chi svolga questo lavoro!

Siamo stufi delle inesattezze storiche e della gestione dei partiti dei beni della comunità tutta: la politica deve affidare queste mansioni a persone competenti e qualificate.

E questo non è un capriccio di un giovane studente ennese, ma la legge: “in conformità a quanto disposto dagli articoli 4 e 7 e fatte salve le competenze degli operatori delle professioni già regolamentate, gli interventi operativi di tutela, protezione e conservazione dei beni culturali nonché quelli relativi alla valorizzazione e alla fruizione dei beni stessi, di cui ai titoli I e II della parte seconda del presente codice, sono affidati alla responsabilità e all’attuazione, secondo le rispettive competenze, di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi fisici, restauratori di beni culturali e collaboratori restauratori di beni culturali, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell’arte, in possesso di adeguata formazione ed esperienza professionale” (art. 9 bis Codice dei beni culturali e del paesaggio)

E “fermo quanto disposto dalla normativa in materia di progettazione ed esecuzione di opere su beni architettonici, gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici sono eseguiti in via esclusiva da coloro che sono restauratori di beni culturali ai sensi della normativa in materia” (art. 29 comma 6 dello stesso).

Fatte salve le certe buone intenzioni dell’On. Longi e del dott. Cantaro, è probabile che sfugga tramite mezzo stampa e social la qualifica che quest’ultimo possa avere per guidare queste operazioni di bonifica, ma è dovere di noi cittadini chiederle (cosi come ha fatto un utente sotto il post di Gessaro, senza avere risposta).

Spero che gli interessati possano rispondere a questi miei dubbi. Li ringrazio in anticipo per il tempo a me dedicato,

un giovane studente ennese (12 luglio 2025)

1 Comments

  1. Del tessuto e dei resti archeologici devono occuparsi gli archeologi, che hanno formazione e competenze necessarie. Cosi come di medicina si occupano i medici, di ingegneria gli ingegneri e via di seguito. Il patrimonio archeologico è irricostituibile per definizione; scavato male, restaurato e valorizzato male, si perde per sempre la possibilità di comprenderlo e interpretarlo correttamente, per restituirlo alle comunità di oggi e di domani. L’Italia si è dotata di professionisti archeologi all’altezza, è a questi che bisogna ricorrere, non a dilettanti o curiosi e simili. È una battaglia di civiltà, in coerenza con la legge italiana e con le convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia, ultima quella di Faro. Queste cose vanno dette e sostenute in tutte le sedi opportune, devono diventare patrimonio informativo comune.

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