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Il ragazzino con la pistola e l’emergenza negata

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giovane solo sullo sfondo di palazzoni anonimi

Nelle stesse ore in cui il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella definisce le periferie “veicoli di disuguaglianze ed emarginazione”, un fatto di cronaca avvenuto a Catania ne è la tragica dimostrazione.

Un ragazzo di sedici anni fa partire un colpo accidentale dalla pistola che possedeva. Il proiettile ha colpito in pieno l’occhio della sua fidanzata, una coetanea. Per puro caso non l’ha uccisa, ma le ha lasciato una menomazione permanente. L’arma si è rivelata una pistola giocattolo modificata. Il colpo non è stato letale solo per la scarsa potenza del proiettile. I due adolescenti convivevano in un appartamento occupato abusivamente.

Cronache di destini già scritti

Fin qui i fatti. Dietro di essi un disastro sociale ed educativo che condanna a morte civile migliaia di ragazzi. Una tragedia fatta di numeri, ma soprattutto di destini già scritti. ”Implacabili connessioni” segnano il futuro criminale di troppi ragazzi. Come un fiume in piena si susseguono le notizie di ragazzini arrestati per spaccio, sempre più nei panni di consumatori di crack, di “drug room” che si moltiplicano.

Poi ci sono i casi che esplodono con inaudita violenza: il quindicenne di San Cristoforo che uccide la giovane mamma (Valentina Giunta, 32 anni) perché non accetta che lei possa rifarsi una vita lontano dal quartiere per sottrarlo all’influenza del padre carcerato.

L’omicidio di Giuseppe Francesco Castiglione, 20 anni, per mano di un suo coetaneo, Calogero Michael Romano, per motivi legati a una relazione con una minorenne che aveva avuto un figlio dalla precedente relazione con Romano. Anche la vittima era papà di una bambina. Fino al sedicenne di Nesima, alla pistola modificata, alla compagna ferita.

L’assenza dei servizi sociali

Storie che raccontano un contesto in cui l’eccezione rischia di diventare norma. Si fa costume, assume i connotati di una patologica normalità. Il fatto che il sedicenne di Nesima fosse stato segnalato perché aveva abbandonato la scuola apre interrogativi enormi circa la tenuta della rete dei servizi sociali, cui, a quanto sembra, il ragazzino era riuscito a sottrarsi, tanto da avviare una convivenza e occupare abusivamente un appartamento.

I servizi sociali sono una presenza fragile e sparuta. In un’area vastissima, popolosa e vulnerabile come Librino, Monte Po, San Giorgio, San Giuseppe La Rena, viale Mario Rapisardi, c’è un solo presidio territoriale. I cittadini di Picanello, per richiedere una qualsiasi prestazione, devono attraversare l’intera città e recarsi in via Domenico Tempio, dall’altra parte della città.

L’istruzione negata

A Catania 9 bambini su 100 frequentano una scuola a tempo pieno, contro una media nazionale superiore al 50% e picchi dell’80% a Milano, Torino, Bologna. L’accesso agli asili nido è riservato a una esigua minoranza: appena cinque su cento possono fruirne.

La dispersione scolastica è una piaga aperta. La criminalità minorile un fenomeno radicato nel tempo. In proporzione alla popolazione, i reati commessi da minori sono pari, se non superiori, a quelli registrati in città tre volte più grandi.

Anche sul piano dell’istruzione superiore, il quadro è sconfortante: Catania registra una delle più basse percentuali di diplomati e laureati in Italia.

Una regia pubblica per uscire dalla frammentazione

Catania ha un problema profondo. Che non si risolve con blitz né tantomeno con l’arrivo dell’esercito. Serve una strategia. Strutturale, duratura, condivisa. Servono investimenti nel tempo scuola, nelle reti di sostegno, nei presìdi di comunità. Occorre creare una regia pubblica per passare dalla pratica dei progetti alla cultura dei servizi, per mettere a sistema le tante esperienze virtuose che ogni giorno operano nei quartieri.

Il Comune è in dissesto, è vero. Ma mai come in questo momento ci sono grandi risorse economiche, dal Pnrr ai fondi europei, che potrebbero essere concentrate e integrate in una coerente strategia di contrasto alle povertà. Si assiste invece ad una mucillagine di iniziative, estemporanee, spesso improvvisate e di corto respiro.

Un racconto pubblico che si adagia sul folclore

Intanto, anche il racconto pubblico si piega. La Sicilia sceglie di dare risalto alla “fuitina” tra i due ragazzi, minimizzando l’episodio, cancellandone le cause, riducendolo a folclore. Una storia proveniente da altri mondi: separati, marginali, confinati in un altrove, lontano e separato. Come se non fossero parte della stessa città.

Il decreto Caivano per San Cristoforo piegato alla logica degli affari

Un racconto allineato a quello di un ceto politico che continua a non voler vedere. Il caso San Cristoforo è emblematico. Un decreto pensato per contrastare il disagio sociale viene letteralmente stravolto per costruire una “rambla” turistica. Si progetta di demolire una scuola storica come la Dusmet Doria, senza offrire alcuna spiegazione, per ricostruirla altrove.

Forse qualcuno pensa che le aule della Dusmet- Doria, così ampie e luminose, affacciate sul mare e sul porto, siano “sprecate” per bambini abituati a vivere nel degrado. Forse quel terreno deve essere liberato da una scuola che si è fatta ingombrante e ostacola ben altri progetti. Che nulla hanno a che fare con l’infanzia e con la vita del quartiere. Ma molto con gli affari. Quelli con la A maiuscola.

Il mito che oscura la realtà

Una cosa è certa: le nostre classi dirigenti hanno una particolare vocazione nel fabbricare miti che oscurano la realtà. Ieri era la Catania dei cavalieri del lavoro la “Milano del Sud”. Oggi è la città del turismo, lanciata al galoppo verso nuove mete di sviluppo.
Ieri come oggi, un’illusione. Un bluff.

Ma non c’è mito che tenga. Lo scrive a chiara lettere Isaia Sales in Teneri assassini, un libro tanto bello quanto drammatico, dedicato ai minori di Napoli: ”Se le condizioni sociali in cui si formano migliaia e migliaia di ragazzi non vengono affrontate esse si riverseranno contro il resto della società. Le statistiche criminali sono il segno della loro vendetta”.

Parole che chiamano in causa Catania e le sue classi dirigenti. Le facciamo nostre nella speranza di contribuire ad una riflessione collettiva.

1 Comments

  1. Giuste osservazioni, da condividere pienamente.
    Però i giovani sono le foglie di un albero che ha le radici malate, ed è difficile curare le foglie di una pianta che non dà loro la linfa necessaria, oppure né da una tossica.
    Le radici stanno in una maggioranza di genitori (ed educatori) – non solo delle periferie – disaffezionati alla vita sociale, ridotta a quella dei “social media”, disaffezionati al voto per le rappresentanze politiche o propensi a farsi rappresentare da chi promette ordine e sicurezza, sostituendo la violenza di stato a quella dei cittadini…
    Affezionati invece ai modelli di convivenza (in)civile basati sulla sopraffazione e la violenza, di cui l’uso scriteriato delle armi è uno degli esiti, ma lo sono anche i bullismi, gli abusi e gli stupri, i femminicidi e l’eliminazione – anche fisica – dei “diversi”.
    L’attuale emergenza è riconoscere che se non si curano le radici malate di quella che una volta si chiamava democrazia, poco si potrà fare per non fare appassire le foglie…

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