“Siamo di fronte a un quadro che compromette il funzionamento della sanità pubblica e mina l’equità nell’accesso alle cure, sia in ambito ospedaliero che territoriale, dove gli investimenti del PNRR rischiano di essere vanificati senza un’adeguata dotazione di personale infermieristico”, afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE ((impegnata per promuovere un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico).
In Italia, pur con significative differenze territoriali (minore presenza nel mezzogiorno e in Lombardia) ci sono 5,13 infermieri ogni 1.000 abitanti (nel 2022 erano 6,5), la media nell’Unione Europea è di 9 infermieri ogni 1000 abitanti. Altrettanto sbilanciato il rapporto medici/infermieri, se confrontato con i numeri UE. Inoltre, il numero di infermieri dipendenti del SSN che lascia volontariamente il posto di lavoro è in costante progressione; conseguentemente, aumentano i carichi di lavoro e le responsabilità per chi rimane in servizio. Se si aggiunge il fatto che quasi la metà del personale ha superato i cinquanta anni, è evidente che l’assenza di ricambi nei prossimi anni renderà ancora più complicata la difficile situazione esistente.
Ovviamente, non aiuta, certo, a superare questi problemi il fatto che i salari degli infermieri italiani sono fra i più bassi in Europa (circa 10.000 euro in meno rispetto alla media UE). A conferma di un quadro decisamente allarmante, rispetto allo stato del servizio sanitario nazionale, i rapporti GIMBE ci dicono infatti che siamo di fronte al “crollo del rapporto domanda/offerta del Corso di Laurea in Scienze Infermieristiche: se prima della pandemia era pari a 1,6, dall’anno accademico 2020-2021 si è ridotto progressivamente sino a crollare a 1,04 nel 2024-2025 quando i candidati sono stati appena sufficienti a coprire i posti disponibili”.
Un crollo tanto più grave visto il progressivo invecchiamento della popolazione italiana (secondo le previsioni ISTAT nel 2050 gli over 65 costituiranno quasi il 35% della popolazione) e il conseguente aumento della domanda di infermieri, una domanda importante in ambito ospedaliero, ma soprattutto rispetto all’assistenza territoriale e domiciliare.
“Le nostre analisi – spiega Cartabellotta – mostrano con chiarezza i numerosi fattori che rendono la professione infermieristica sempre meno attrattiva: salari bassi, limitate prospettive di carriera, subordinazione professionale, incongruenza tra percorso formativo e attività lavorativa, che compromettono l’equilibrio tra vita lavorativa e privata e alimentano fenomeni di burnout per turni di lavoro massacranti. A tutto questo si aggiunge, ultimo ma non meno importante, il rischio di aggressioni verbali e fisiche, che mina ulteriormente dignità e sicurezza della professione infermieristica”.
In sostanza, se non si progettano e non si realizzano in tempi brevi percorsi significativi per modificare radicalmente questa situazione, nel futuro le cose non potranno che peggiorare e, soprattutto per le persone anziane e più vulnerabili, verrà meno un’equa possibilità di accesso alle cure.