San Berillo è oggi un quartiere con strade sconvolte e impraticabili, tombini aperti, residenti che hanno difficoltà a raggiungere le proprie abitazioni. La “rigenerazione urbana” prevista dal Piano Urbano Integrato, si è rivelata – fino ad oggi – un disastro, nonostante il sindaco l’avesse descritta come un’occasione per rendere finalmente il quartiere più vivibile e per migliorarne la “immagine collettiva”.
Chi nel quartiere vive ed opera aveva espresso da subito le sue perplessità. Rimuovere la pavimentazione esistente (peraltro in ottimo stato perché rifatta in pietra lavica da appena un decennio) per sostituirla con una “nuova pavimentazione, sedute e fioriere”, era davvero il modo più opportuno di spendere circa due milioni di euro per un quartiere socialmente complicato come questo?
Ok la sistemazione degli impianti di acque di scarico e illuminazione, ma davvero non si poteva prendere in considerazione il documento presentato dalle associazioni?

L’Amministrazione ha deciso di proseguire nella strada intrapresa, senza neanche garantire la rapidità e il coordinamento dei lavori.
Iniziati nel mese di ottobre, i lavori non sono stati ancora ultimati. Procedono a rilento, portati avanti da pochi operai e affidati a ditte diverse, con cantieri nuovi che vengono aperti senza che nessuno di quelli già avviati sia stato ancora chiuso. La denuncia di questa situazione agli uffici competenti, nonostante le rassicurazioni e la modifica di qualche tempistica, non ha portato frutti tangibili.
Se la deriva non è totale, lo dobbiamo all’impegno di alcuni residenti e delle associazioni attive nell’area che non si sono rassegnate all’inevitabile e cercano il modo di essere comunque presenti, continuando a fare rete tra loro e costruendo nuove forme di collaborazione.
L’Osservatorio urbano e laboratorio politico, di cui fanno parte la parrocchia del Crocefisso della Buona Morte, il Centro Astalli, la Casa della Mercede, il Sunia, la San Berillo Calcio ASD, i giovani gambiani, dopo l’esperienza riuscita di un primo pranzo di quartiere, ne ha organizzato di recente un altro, con il contributo di tutti i residenti che hanno cucinato, delle associazioni che hanno messo a disposizione tavoli e bevande, di chi ha fatto musica per rallegrare il convito.
Il 27 aprile altro appuntamento organizzato dall’Osservatorio in piazza Falcone, “Insieme per San Berillo”, un momento di incontro, di festa, tra chi abita nel quartiere e chi ci lavora, tra catanesi e migranti, adulti e bambini, con un mercatino solidale a scopo di autofinanziamento.

Ci sono le cooperative agricole di giovani africani come Dokulaa e Afrisicilia, con i loro prodotti, ma anche associazioni che si occupano di salute e fanno opera di sensibilizzazione nelle piazze, come “Un battito e un respiro” o tengono ambulatori gratuiti, come “Italian help sistem for life”, ospitato dai Cavalieri della Mercede. E associazioni che non operano a San Berillo ma si riconoscono nella impronta solidale di iniziative come questa, da Mani Tese che in via Palermo, a “Fieri”, organizza laboratori di sartoria e falegnameria per migranti minorenni non accompagnati, alla sartoria sociale “Moda operandi” dell’associazione Penelope, che si occupa di giovani donne sfuggite alla tratta.
E poi musica e canzoni, i giocolieri di Spazio Clatù che intrattengono grandi e piccini, un clima sereno, un’occasione perché questo quartiere dia un’immagine di sé diversa dalle facili etichette negative. E, soprattutto, un modo semplice di stare insieme che pian piano (ma questo lo sanno solo gli operatori più attivi e presenti) sta cominciando a coinvolgere anche chi a San Berillo vive e lavora vive e lavora con alle spalle un passato e una storia difficile.
Qualche giorno dopo, “Il primo maggio del lavoro migrante”, l’iniziativa partita da Officina Rebelde e Trame di quartiere, una intera giornata di aggregazione con musica, pranzo sociale offerto, da Dokulaa Cooperativa Sociale, e una assemblea sul lavoro migrante in via Carro, “invisibilizzato da chi ci sfrutta e governa ma ormai indispensabile per mandare avanti settori come quelli del turismo e dell’agricoltura. Per questo abbiamo deciso di costruire un Primo Maggio differente, dentro lo storico quartiere di San Berillo, che comprende un pranzo sociale, momenti di dibattito, momenti musicali”. Lo leggiamo nel volantino sottoscritto dalla Rete antirazzista catanese, LHIVE diritti e prevenzione, il sindacato USB e naturalmente gli organizzatori.
San Berillo diventa quindi un luogo di sperimentazioni che possono dire qualcosa di importante a tutta la città, nel merito e nel metodo. Nonostante, o forse proprio a partire dall’abbandono in cui viene lasciato. Un abbandono che non escludiamo sottenda un progetto speculativo.