Una prima manifestazione, ieri venerdì 14, in piazza Stesicoro, del Comitato Catanese contro il Caro Bollette, conclusasi con un corteo sino alla Prefettura.
Meno di un centinaio i presenti, che con questa iniziativa hanno deciso di aprire un percorso collettivo per far fronte alla drammatica crisi economica che il paese sta attraversando e ai problemi sempre più evidenti prodotti dal combinato disposto (come si direbbe con linguaggio giuridico) della speculazione e della guerra.
Della speculazione perché l’aumento vertiginoso delle bollette deriva dagli extraprofitti delle compagnie di produzione e distribuzione; della guerra perché la drammatica prosecuzione del conflitto scatenato dall’invasione russa dell’Ucraina grava pesantemente sulla popolazione europea.
I manifestanti hanno definito la propria iniziativa “il primo passo di un cammino complicato, ma necessario”. Complicato perché se l’obiettivo è quello di rimettere al centro la difesa dei beni comuni, progressivamente “ridotti” in seguito alle privatizzazioni che hanno contraddistinto tutti i governi nazionali degli ultimi venti anni, occorrerà una grande e radicata mobilitazione popolare.
Necessario perché nel momento in cui è stata sdoganata l’idea dell’uso di armi nucleari (seppure quelle cosiddette tattiche) sono evidenti i pericoli che corre l’intera umanità.
Bloccare la speculazione e fermare la guerra sono considerati, dagli aderenti all’iniziativa, un unico programma che deve partire dalla difesa delle condizioni materiali di vita, individuando subito risposte credibili.
Risposte capaci di parlare a tutta la popolazione, innanzitutto a chi oggi ha difficoltà a pagare gli affitti, non è in grado di far fronte a bollette stratosferiche e rischia di rimanere “soffocato” dall’aumento dei prezzi.
Rispetto alle bollette, la prima proposta che è stata avanzata è la contestazione formale degli aumenti da presentare ai fornitori, chiedendone con un reclamo le ragioni e posticipando il pagamento delle stesse. Una proposta che si inserisce nella campagna Io Non Pago, già iniziata in varie parti del Paese, per sollecitare il necessario intervento statale e bloccare le speculazioni.
C’è consapevolezza, da parte del Comitato, della necessità di coinvolgere innanzitutto i ceti popolari, un obiettivo di cui gli attivisti riconoscono la difficoltà. Intendono comunque provare, organizzando iniziative di informazione nei diversi quartieri popolari e mettendo contestualmente in campo azioni concrete.
Intanto, ne sono state individuate due: una “lavatrice” di quartiere a Picanello e una catena alimentare in grado di distribuire, gratuitamente, generi di prima necessità. Le sedi delle forze politiche e sociali aderenti al progetto dovrebbero divenire, in questa ottica, punti di riferimento per lo sviluppo di queste attività.
In sostanza, il Comitato ha individuato obiettivi comuni che nulla tolgono all’autonomia di tutti i soggetti che lo compongono. Essere uniti nei momenti più difficili ci sembra già un importante passo avanti.
Dovremmo avere la stessa sensibilità che manifestiamo nei confronti delle donne, quando subiscono maltrattamenti, aggressioni, brutalità da parte di un uomo, all’interno di un nucleo familiare, utilizzando il termine “violenza” e non “conflitto fra coniugi”, anche quando – in questo caso – si parla dell’invasione dell’esercito russo in Ucraina, che non è un conflitto tra Stati, perché l’Ucraina ad oggi non ha lanciato missili nelle città russe, ma ha cercato di difendere i propri territori e riconquistare quelli che gli sono stati sottratti.
Quante volte casi di femminicidio si sarebbero potuti evitare se si fosse intervenuti in tempo: vicini che avrebbero potuto chiamare le forze dell’ordine o segnalare ai servizi sociali prima dell’irreparabile, ovvero personale delle Questure o Comandi di carabinieri che avrebbero fatto meglio a prendere sul serio quanto veniva loro raccontato, anziché invitare la donna a rientrare a casa e cercare di fare la pace.
A me non piacciono gli Stati Uniti d’America e la Gran Bretagna, così come non mi piace la NATO. Molte volte ho manifestato contro la politica degli USA e da sempre auspico una uscita dei paesi europei dalla Nato per costituire una alleanza di difesa militare europea.
Ritornando ai casi di femminicidio, quando una donna per strada è aggredita e chiede aiuto, non guarda in faccia chi in quel momento sta rispondendo al suo appello. Accetta l’aiuto perché quello è l’unico modo immediato probabilmente per non soccombere.
Oggi la pace per Putin è il riconoscimento della comunità internazionale dei territori annessi. E chi oggi semplicisticamente auspica la pace immediata sceglie da che parte stare.
Io vorrei che l’ONU fosse in grado di intervenire, presidiando il territorio dopo essere stato liberato da tutte le forze presenti, per far sì che il popolo (tutto e non solo quello rimasto in quei territori dopo l’occupazione) decidesse che governo darsi.
L’invasione non è iniziata il 24 febbraio 2022, bensì il 27 febbraio 2014 quando la Russia annesse la Crimea, inviando sue truppe e prendendo il controllo del governo locale. Un mese dopo si tenne un referendum non riconosciuto da gran parte della comunità internazionale e il 18 marzo la Crimea fu annessa alla Russia. Dopo poche settimane inizia il sostegno della Russia alle forze separatiste del Donbass.
Anche in quel caso l’Unione Europea condannò – già nel mese di marzo dello stesso anno – l’azione della Russia e introdusse le prime sanzioni. A cosa sono servite? Hanno impedito le azioni successive?