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E gli alberi sconfissero la camorra

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Un frutteto di circa sei ettari, “con colture ortive consociate”, adoperato dai proprietari, una famiglia legata alla camorra, anche per nascondere nel sottosuolo fanghi inquinanti provenienti da industrie del Nord. Accadeva nel fondo rurale San Giuseppiello, nell’Area Vasta di Giugliano, Campania

Sottoposto a sequestro nel 2008, il podere non viene abbandonato a se stesso, ma diventa oggetto di un importante progetto pilota di fitodepurazione, di cui sono protagonisti il commissario Mario De Biase e il dipartimento di agraria dell’Università Federico II di Napoli, coordinato dal professore Massimo Fagnano, docente di Agronomia.

Nel terreno, analizzato fino a un metro di profondità, vengono trovati cromo e zinco in altissime concentrazioni, ma anche piombo, cadmio e idrocarburi. Cromo e zinco, tuttavia, non assorbiti dalle piante, preoccupano meno del cadmio che, “pur essendo presente in concentrazioni molto più basse, si ritrovava nelle foglie in concentrazioni pericolose per la salute” (link Huffington).

Il progetto tradizionale di bonifica prevede la rimozione completa del suolo contaminato e il suo smaltimento, un “lavoro enorme, di asportazione di terra e veleno per portarlo chissà dove, con costi enormi”, quasi venti milioni di euro. Ruspe, camion, trasferimenti che rischiano di arricchire ancora la camorra perché “sappiamo che è così che funziona, la camorra inquina, la camorra si occupa delle bonifiche.”

La soluzione alternativa è molto più economica, non arriva a un milione di euro, è stata studiata dagli agronomi della Federico II e pare sia stata guardata con qualche perplessità dal ministero, probabilmente anche “per i costi tanto bassi, perché in questi interventi devono muoversi soldi” essendo “la terra dei fuochi un affare che conviene non finisca mai».

Inizia il percorso di fitodepurazione, “la soluzione scelta si chiama senape indiana e soprattutto pioppo: specie molto efficienti nell’estrarre metalli dai suoli. E poi batteri nel terreno per biodegradare gli idrocarburi”.

Vengono piantati 20mila alberi della varietà “pioppo ballotino, che prospera anche in assenza di irrigazione” perché “il pioppo bianco senza acqua non cresce e a San Giuseppiello l’irrigazione è scarsa”. I pioppi di San Giuseppiello assorbono dal terreno il cadmio, lo accumularlo nelle radici e nei tronchi, riducendo la concentrazione nelle foglie, che – spiega Fagnano – “tra 4 o 5 anni scenderà sotto la soglia di rischio”.

Un simbolo di degrado – prosegue – è diventato ormai un bosco, è stato ricostruito un ecosistema che sta generando biodiversità, aria più pura e, naturalmente, una diversa qualità del paesaggio. Arrivano in visita anche gli alunni delle scuole e nelle scuole se ne parla in convegni appositamente organizzati.

“Un modello virtuoso, efficace ed efficiente, una sperimentazione ecosostenibile, un esempio di legalità che si potrebbe replicare nelle mille terre avvelenate del nostro Paese rischia di essere dimenticato e, fatto gravissimo, di essere distrutto e le persone che vi hanno lavorato lasciate sole ed esposte. Persone che hanno avuto il coraggio di intraprendere percorsi differenti, di non utilizzare denaro pubblico per opere costose e inutili, di occuparsi della nostra terra con cura per recuperare natura e bellezza” leggiamo in uno scritto anonimo che sta circolando sui social.

Da quando il commissario alla bonifica è andato in pensione, la Regione Campania pare non abbia ancora individuato il successore, e l’abbandono ha fatto iniziare “la devastazione degli uffici e delle apparecchiature”.

Sarebbe gravissimo interrompere questo percorso, uccidere la speranza di cambiare le cose.

E non perché – come afferma lo stesso Fagnano – il fitorisanamento sia una bacchetta magica. Si tratta piuttosto di “una tecnica di concentrazione e riduzione del problema”, che non può essere meccanicamente traslata in qualunque altra area da bonificare.

“Nelle aree degli impianti petrolchimici [in Sicilia potremmo citare Augusta, Priolo, Milazzo…], con livelli di contaminazione elevatissimi, gli alberi non sopravvivono. Quando la contaminazione raggiunge la falda acquifera a venti metri di profondità non fai nulla con la fitodepurazione. Lì devi solo mettere in sicurezza, cerchi di evitare il sollevamento degli inquinanti e, una volta realizzata la messa in sicurezza, realizzi per esempio parchi sportivi, ricreativi”. O si può, con teli impermeabili ricoperti da terreno oppure con un tappeto erboso di quattro o cinque centimetri, stabilizzare gli inquinanti e confinarli.

Tecniche diverse di soluzione, quindi, da studiare in loco, con la collaborazione di chi, nelle università, ha il coraggio di prendersi la responsabilità di scelte in controtendenza, responsabilità personali oltre che politiche, quanto meno per limitare i danni, perché – conclude Fagnano – “se fai un casino – e sversare fanghi industriali in un terreno agricolo è un grosso casino – poi non ritorni mai al punto di partenza”.

1 Comments

  1. Nell’ormai lontano 2007 progettai un corso IFTS per un Tecnico Superiore Gestione sistemi idrici, era incentrato sulla gestione integrata delle acque, partendo dal dettato della legge Galli che parte dalla captazione.trattamento e distribuzione per arrivare ai servizi di fognatura e depurazione. Tra i nostri partner c’era il CETA ( Centro di Ecologia Teorica ed Applicata) di Trieste. Lì presso il centro di ricerca, associato all’Università di Trieste e Gorizia, con i miei allievi abbiamo svolto uno stage che ci ha condotto a conoscere l’applicazione della fitodepurazione delle acque reflue di industrie, abitazioni private e di comunità, dove dopo il trattamento, mediante passaggio nel terreno e impianto di alberi o specie botaniche appositamente coltivate, le acque diventavano chiare limpide e fresche. Questi studi sono stati condotti anche a Catania, presso la Facoltà di Agraria, si giunse addirittura a testare le colture di pomodoro per verificare se fossero in grado di trattenere i metalli pesanti e quanto residuo rimanesse nella parte edule, i risultati erano molto incoraggianti: le piante riescono a fermare e trattenere elementi pericolosi, se in alte concentrazioni. Se venisse applicata anche nei piccoli guardini, come suggeriva il prof. Vecchiet, potremmo avere il ciclo integrato in casa, con una progettazione seria e la separazione delle acque grigie da quelle nere e queste ultime depurate con gli alberi e i fiori deli nostri giardini

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