Dieci anni fa, nello stesso giorno in cui si commemora la Giornata dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ci ha lasciati Giambattista Scidà, già Presidente del Tribunale per i minorenni di Catania dal 1981 al 2002.
Sarà ricordato oggi alle ore 18 a Piedimonte Etneo, sua città natale, dal magistrato Sebastiano Ardita, dall’avv. Fabio Repici, dal giornalista Riccardo Orioles e dal Sindaco Ignazio Puglisi.
Ci duole constatare che nella città che lo ha visto protagonista di tante lotte, anche solitarie, contro i poteri forti, le mafie e l’uso distorto del denaro pubblico, non vi sia stata alcuna iniziativa.
Noi di Argo lo vogliamo ricordare riprendendo un suo scritto del 2002 che oggi è più che mai attuale: Abolire il Tribunale per i minorenni!
Attuale perché sta passando, in sordina, una riforma dei Tribunali per i minorenni, a traino del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), che ha poco a che fare (per non dire assolutamente niente) con la riforma in corso del processo civile e penale, finalizzata ad accelerare e rendere certi i tempi della giustizia per favorire la ripresa attraverso procedure più confacenti ai tempi dell’economia.
Ovviamente sono interessati i procedimenti fallimentari, la contrattualistica, il recupero dei crediti, i risarcimenti danni, meno ovviamente modifiche alle competenze del Tribunale per i minorenni che possono avere ripercussioni importanti sulla vita di bambini e ragazzi che già vivono situazioni difficili.
E’ stata infatti ripresa una proposta, non andata a buon fine venti anni fa e contro cui Scidà aveva preso posizione in modo articolato nel testo che oggi pubblichiamo.
L’attuale disegno di legge-delega, chiamato sub emendamento, presentato il 7 settembre da tre senatrici di Partito Democratico, Fratelli d’Italia e Sudtiroler Volspartei, è stato approvato all’unanimità dalla Commissione Giustizia del Senato e dallo Stesso Senato, nonostante su di esso si sia espressa in maniera chiara l’AIMMF (Associazione Italiana Magistrati per i Minori e la Famiglia), nella persona della Presidente Cristina Maggia (audizione alla Camera del 27 ottobre).
I principi delega in esso contenuti sono vincolanti per la creazione di un Tribunale per le persone, i minori e la famiglia che dovrebbe essere composto da un Organo distrettuale (che corrisponde all’attuale Tribunale per i minorenni) e da Sezioni circondariali (attuali sezioni della famiglia e minori dei Tribunali ordinari).
All’Organo distrettuale (l’attuale Tribunale per i minorenni) resterebbero le competenze in ambito penale, l’adottabilità e la sottrazione internazionale dei minori.
Alle Sezioni circondariali verrebbe affidata tutta la materia riguardante la responsabilità genitoriale (processi separativi e divorzi, collocamento in comunità, affidamenti familiari), di cui oggi in parte si occupa il Tribunale per i minorenni.
Il giudice che si occuperà di quest’ultima questione (limitazione o decadenza della responsabilità genitoriale) sarà monocratico, deciderà quindi da solo, laddove oggi la decisione viene presa da un collegio di quattro persone, di cui due sono giudici togati e due giudici onorari, vale a dire esperti (psicologi, pedagogisti, psichiatri, neuropsichiatri infantili, sociologi, assistenti sociali, etc.) che danno il loro contributo nella conoscenza e nell’approfondimento della situazione del minore e dei suoi familiari a vari livelli, da quello psicologico a quello sociale.
E’ questo l’aspetto su cui si sofferma Scidà, spiegando quanto sia importante la presenza di queste figure professionali e la collaborazione che si instaura, “Il lavoro in comune, in camera di consiglio, e fuori di essa (nella prolungata sinergia di un giudice e di un componente privato, attorno ad un caso) é, per tutti, una impareggiabile maniera di specializzazione: la più autentica e forse l’unica vera.”
Con la riforma attuale il giudice non solo deciderà da solo ma non avrà tempo e strumenti per conoscere e valutare con attenzione le singole situazioni se non ricorrendo ad una consulenza tecnica d’ufficio (CTU) che può al massimo fotografare la situazione del minore in quel singolo momento e non seguirne il percorso come avviene oggi nei Tribunali per i minorenni.
Verrebbe quindi a cadere un modello, nato con le norme del 1934, via via modificate negli anni, ritenuto eccellente e studiato da molti Paesi non solo europei.
Ecco quanto scrive Scidà nel testo di cui riportiamo ampi stralci.
I collegi dei Tribunali minorili sono composti da quattro magistrati, due dei quali (“giudici onorari” o “componenti privati”) han formazione diversa che la giuridica (psicologi; psichiatri; psichiatri dell’infanzia: sociologi: pedagogisti; assistenti sociali di qualificata competenza); e l’assidua comunione di lavoro tra le due componenti (non solo nel civile, ma anche nel penale e nel penitenziario e nel c.d. “amministrativo”), attiva interazioni feconde di risultati. Gli onorari si introducono alla esperienza del dato di realtà che é la norma; i giudici professionali accedono alla percezione, vissuta, della verità che é nel detto carneluttiano, non conoscere neanche il diritto chi conosce soltanto il diritto. Il lavoro in comune, in camera di consiglio, e fuori di essa (nella prolungata sinergia di un giudice e di un componente privato, attorno ad un caso) é, per tutti, una impareggiabile maniera di specializzazione: la più autentica e forse l’unica vera.
E per questa via che i Tribunali minorili diventano aree di cultura minorile, aperte alle voci della ricerca scientifica e della pratica del S.S.N. luoghi nei quali tanto più facile é la formazione, per chi, ancora nuovo al settore, ma vocato ad operarci, vi faccia ingresso.
Ciò che si é detto sin qui, per la materia delle dichiarazioni di adottabilità, vale per i provvedimenti che hanno ad oggetto la potestà parentale, specie quando si tratti di limitarne l’esercizio, ex art. 333 CP. Anche qui, l’adeguatezza dei provvedimenti (allontanamenti compresi) presuppone una effettiva assunzione, a criterio dell’agire, dell’interesse minorile, e perciò la capacità di individuare così il presupposto dell’intervento (il “pregiudizio” che il comportamento genitoriale arreca), come la misura “opportuna”: attività nella quale si riflettono sia gli apporti professionali dei giudici onorari al migliore trattamento delle situazioni (intendendo per trattamento anche l’attività istruttoria, ricca, quando compiuta con finezza, di positivi effetti sulla utenza), sia le ingenti risorse delle quali il giudice, pur proveniente da meri studi giuridici, è venuto in possesso grazie alla diuturna collaborazione con portatori di altri saperi.
Dall’odio per la legge, all’odio per il giudice: chi si trova in posizione di rifiuto, nei confronti del moderno diritto minorile civile, avversa gli Uffici, che quel diritto applicano; e, particolarmente, gli elementi della loro struttura, che appaiono responsabili del rapporto – di consonanza – tra l’agire dei Tribunali da un lato, e dall’altro le leggi, e la cultura che le ha ispirate. È qui la radice della guerra che ora si muove alla componente onoraria della magistratura minorile.
Ma la sua eliminazione non basta. Occorre spezzare l’unità dell’istituzione giudiziaria minorile; smembrarne il ramo civile dagli altri; disperdere gli addetti a quel campo; e rimettere la trattazione di quegli affari a sezioni ordinariamente composte degli ordinari Tribunali, come ad ambienti nei quali il turn over, provocato dai movimenti tabellari, e l’improbabilità di lunga permanenza dei giudici nonché la promiscuità delle incombenze prevengano il costituirsi e perpetuarsi del clima culturale che è della giustizia minorile italiana.
Resteranno, per intanto, i Tribunali per i Minorenni, come Uffici giudiziari penali o del ramo penitenziario; ma la ricaduta, su questi stessi ambiti, dello smembramento in progetto, sarà gravissima. L’attuale concentrazione di competenze, in un Ufficio solo, è condizione necessaria per il buon funzionamento di ciascuna delle sue plurime branche di attività. Non si può provvedere adeguatamente in ordine all’indagato o imputato minorenne se non si abbia a portata di mano la cospicua e illuminante massa di informazioni, che è offerta dai procedimenti civili che lo riguardano (come non si può agire appropriatamente, a sua tutela, in sede civile, se i procedimenti penali che lo concernono siano ignorati). Ma non si tratta soltanto di comunicazione, necessaria, tra comparti; è il giudice, il singolo giudice, a volta a volta componente di collegi civili o di collegi penali, a riunire in sé, in un Tribunale minorile di dimensioni medie, conoscenze provenutegli da altri settori, ma tutte relative allo stesso soggetto, che lo pongono in grado di operare egregiamente.
Il progetto colpisce e dissesta tutto il sistema della giustizia minorile, e non solo la parte civilistica di essa.
La volontà di riforma attinge incentivo anche ad altri elementi. A CT, il T. M. si riunisce in camera di consiglio anche la vigilia di Natale, anche la vigilia di Pasqua, anche l’ultimo giorno dell’anno, anche il 14 agosto: e, nel mese di agosto, numerosissime volte: anche tante, quanti i giorni feriali del mese, e persino più volte nello stesso giorno. È così che provvedimenti urgenti possono essere immediatamente presi; e che altri, già assunti, son prontamente aggiustati a sopravvenienze. Il merito é certo dei giudici, che riferiscono senza indugio, e degli addetti alla cancelleria (un esempio di aristocrazia morale del pubblico impiego, che abbiamo visto, negli anni e nei decenni, trattenersi in Tribunale ben oltre l’orario di chiusura degli uffici, per curare, senza aspettarsi materiale compenso, l’esecuzione dei decreti). Ma niente di questo potrebbe essere fatto, se la procedura (la procedura detta camerale) non fosse abbastanza snella ed agile da consentirlo.
A differenza che nel rito ordinario – dove tutto, dalla domanda alla prova – è rimesso alla iniziativa delle parti, l’istruttoria é compiuta, qui, dall’Ufficio: il quale, abilitato dalla legge ad assumere “informazioni”, richiede di relazioni i servizi sociali e le UU.SS.LL., domanda ragguagli a Carabinieri e Polizia, convoca persone, acquisisce documenti, e non impiega, per farlo, che i tempi della corrispondenza, ormai contratti dalle connessioni via fax. Utile alla speditezza e alla più efficace tutela delle ragioni minorili, una procedura siffatta frustra l’aspirazione dei difensori ad un ruolo non dissimile da quello che essi hanno nella giustizia ordinaria; e può ben comprendersi che da questo derivino insofferenze, e che alquanti professionisti si sentano indotti ad auspicare il trasferimento della competenza civile dei TT.MM. ai Tribunali ordinari, come preludio o condizione di riforme ulteriori, che investano il rito. Ma una visione equilibrata della realtà ispira a molti altri l’augurio, condiviso dai giudici minorili, che adeguamenti della procedura la arricchiscano di ragionevoli garanzie, senza spogliarla della capacità di consentire effettiva tutela dei minori: nel quadro, irrinunciabile, dell’attuale competenza dei TT.M.M.
Senza più, all’interno stesso dei collegi, le presenze che in atto integrano le risorse di sapere dei magistrati professionali, i Tribunali (le c.d. sezioni specializzate dei Tribunali, di cui si legge nel progetto del Governo) sarebbero nella necessità di ricorrere, ad ogni piè sospinto, a consulenti tecnici; il che recherebbe con sé l’intervento di consulenti di parte. Il volume complessivo di incarichi, degli iscritti agli albi, riceverebbe cospicuo incremento, con incidenze materiali rilevanti: specie se, trattandosi di minori appartenenti a famiglie larghe, i compensi vengano determinati in funzione del numero delle persone esaminate. Ma i minori non hanno interesse a che questo avvenga.
Quel che si è detto fin qui, dei giudici onorari, non è che un abbozzo di descrizione d’una parte soltanto della loro attività. Bisogna aver lavorato in un Tribunale, per avere un’idea meno imprecisa dei loro apporti complessivi alla civiltà giudiziaria italiana, in campo minorile. Sono stati e sono essi ad acquisire, per l’Ufficio, le necessarie conoscenze dirette (dirette, e non già di mero carteggio con altri Uffici), intorno alle coppie istanti per affidamenti preadottivi o per attestati di idoneità all’adozione internazionale. Sono essi ad impegnarsi, in puntuale intesa con i giudici delegati, nella ricerca, ardua, di coniugi che accettino minori non più piccoli, o svantaggiati o ne accettino parecchi, fratelli tra loro; sono essi a riprendere, instancabilmente, dopo insuccessi e fallimenti, tentativi ulteriori, e ad accompagnare, con discrezione e con sapienza, verso responsabili risoluzioni, le coppie di volta in volta interpellate. I magistrati onorari prestano ai giudici professionali il concorso di cui questi han bisogno, nell’esame di minori, ricoverati in istituti, e nella preparazione, paziente, del loro rientro in famiglia; collaborano all’ascolto dell’utenza adulta; e attendono, per delega, a singole attività. Ed è tra i loro meriti quello di aver gestito, per certi Tribunali, l’azione di contenimento del ricovero a convitto, frequentissimo nei primi anni ’80, come forma unica di aiuto a minori e famiglie, ma via via ricondotto alla funzione residuale, che sola può essergli riconosciuta. Cosi come sono stati essi a curarsi, per ridurla, della diserzione scolastica.
Chi ha concepito il disegno di legge (fra poco all’esame del Parlamento), non è informato di ciò che verrebbe tolto ai minori, bisognosi di protezione giudiziaria, col trasferimento delle competenze civili a sezioni dei Tribunali ordinari, composte, come le altre, solo da giudici dalla formazione puramente giuridica; e verosimilmente ignora come vanno le cose, davanti alla giustizia ordinaria, nelle cause di separazione o divorzio.
Il Tribunale ordinario, giudice della separazione tra coniugi, è competente a disporre in ordine all’affido dei figli minori: all’uno o all’altro dei genitori, o ad un terzo o, nella impossibilità, ad un istituto di educazione. I provvedimenti vengono dati alla prima udienza, prevista per il tentativo di conciliazione che il Presidente deve esperire. Il tentativo fallisce, nella quasi totalità dei casi; e il magistrato provvede in ordine ai figli (affidamento; diritto di visita del genitore non affidatario, etc.), sulla base di ciò che le parti gli han fatto conoscere, con il ricorso introduttivo e con lo scritto di risposta, o con dichiarazioni all’udienza. Non ha visto i minori; non dispone di relazioni di servizio sociale, e non sa nulla delle relazioni tra i figli (tra ciascuno dei figli) e i genitori (ognuno dei genitori); nè delle relazioni interne alla fratria. Oltre che non informato a sufficienza, egli è solo. Le sue disposizioni son provvisorie, certo, e possono essere modificate dal giudice istruttore, al quale è assegnato il procedimento; ma intanto i minori sperimentano una condizione di vita che può non essere conforme al loro interesse, e ciò per un tempo non certo brevissimo…
Ciò che separa e anzi contrappone quei due modi dell’agire giudiziario, e il danno che viene, ai minori coinvolti, da uno di essi, pongono una chiara, imperiosa esigenza: che i giudici della separazione vengano provvisti, sollecitamente, dei mezzi di cui si avvalgono i giudici minorili. I provvedimenti, in materia di affido, dovrebbero essere collegiali, di un collegio dalla composizione felicemente mista, proprio sul modello dei Tribunali minorili. Ma il progetto di riforma, che il Parlamento viene richiesto di approvare, si muove nella direzione contraria.
Alla disparità presente, e intollerabile, tra minori e minori, davanti alla giustizia civile, esso sostituisce un’eguaglianza nel negativo; generalizza lo svantaggio, invece che estendere le opportunità…
Ma la componente “laica” sopraffà, si dice, l’altra; ed è per questo che essa va abolita. I fatti smentiscono, con severa nettezza, quella fola. In quasi tutti i campi, nei quali siano state introdotte composizioni miste di collegi giudiziari, la parità ha patito pregiudizio solo per resistenze della componente tradizionale: a volte talmente marcate da apparire irriducibili, sino alla messa in forse del diritto dei laici all’esame degli atti. Un TM è una totalità organizzata, che la diversità di provenienza culturale arricchisce senza dividerla.
Ma anche fole del genere hanno un senso, che l’intelligenza deve saper cogliere. Ciò che si vuole combattere non è la componente, asseritamente preminente, ma la cultura che essa rappresenta o simboleggia: la cultura contemporanea, puericentrica, che è cultura nel senso di conoscenza scientifica, e l’insidia che essa rappresenta per la cultura tradizionale, che è cultura in altro senso: nel senso di mentalità. La volontà di scacciare dalla scena giudiziaria i Componenti Privati dei TT.MM. è un colpo di coda, formidabile, del passato che non vuole passare.
Il Parlamento saprà attingere all’esperienza recente, di improvvide innovazioni legislative, in materia di adozione (art. 6 della L. l84/83) ragione di cautela, nell’esame della proposta di riforma, rivoltagli dal Governo.
(pag. 5-12, sez. III-XI).
Leggi il testo integrale dello scritto di Giambattista Scidà
Spero che quante più persone possibile leggano e divulghino quest’articolo,
soprattutto per la denuncia che esso contiene,e costituisce,
del gravissimo rischio che incombe su di noi,società civile tutta,
-se veramente lo siamo!-
IL RISCHIO di aggiungere violenza a ragazzi,
figli di strati sociali in varia misura spesso già superviolentati dalla vita…
Questo non dovrà succedere!
Non deve succedere!
Mario Strano