Nasce a Catania uno Sportello Donna dedicato in particolare alle donne disabili, soggette quindi alla doppia discriminazione dell’essere donna in una società maschilista e dell’essere disabile.
Uno sportello di ascolto, gestito da operatori dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti (UICI) e dell’Associazione Antiviolenza Thamaia, con sede presso la sezione territoriale dell’UICI, in via Braille 6, una struttura priva di barriere architettoniche.
La presentazione è avvenuta, nella sede dell’UICI, nel corso di un dibattito moderato dal giornalista Giuseppe Ardica e arricchito – dopo l’introduzione della presidente Rita Puglisi – dalla partecipazione di figure istituzionali e dagli interventi del magistrato Sebastiano Ardita e della giornalista Sarah Donzuso, autrice del romanzo “Da sempre e per sempre”, di cui sono stati letti alcuni brani.
Negli interventi hanno prevalso i temi legati alla violenza di genere, con richiami ai recenti fatti di cronaca che hanno interessato il nostro territorio. Ma l’aspetto più interessante dell’iniziativa che viene avviata ci sembra l’attenzione alle donne la cui fragilità è aggravata dall’essere disabili e può essere ulteriormente appesantita da altri fattori come l’età (essere anziane o minori), gravi difficoltà economiche o l’origine straniera.
Può diventare concreta, sul territorio, la possibilità di intervenire su quella discriminazione multipla, su cui vertono ormai diversi studi, che non solo impedisce l’autodeterminazione delle donne ma costuisce un grave fattore di rischio per la loro incolumità.
Lo sportello ha l’obiettivo, a partire dall’ascolto, di accompagnare le donne che ad esso si rivolgeranno nella ricerca di soluzioni ai loro problemi, e le due realtà associative che se fanno carico hanno il vanataggio di poter mettere in campo le consolidate rispettive esperienze
Al progetto dello sortello e a quella che è stata definta la “unione di questi due mondi”, ha lavorato soprattutto Simonetta Cormaci, non vedente, impegnata da anni nel campo del volontariato e da sempre sensibile ai temi della autodeterminazione femminile, oggi delegata alle questioni di genere dell’UICI.
Il tema ricorrente emerso negli interventi è stato quello dell’educazione.
Ne ha parlato Ardita, convinto che alla base dei comportamenti violenti ci siano problemi culturali e sociali che non possono essere fronteggiati solo con gli strumenti giudiziari, tanto più che nella nostra società sono ancora presenti molte sacche di arretratezza culturale e domina una diffusa mancanza di attenzione ai diritti degli altri.
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Ad una carenza di educazione alla affettività ha fatto riferimento Donzuso, che – pur avendo scelto di raccontare una storia “non solo di violenza ma anche di speranza” – ha purtroppo notato spesso nei giovani l’attitudine a considerare la persona che dicono di amare “come un oggetto che può essere messo da parte”.
Non meno di frequente è stato sottolineata l’importanza della formazione degli operatori, non solo quelli delle associazioni ma anche quelli delle forze dell’ordine, come ha ribadito la Capitana dei Carabinieri Chiara Petrone.
Il ruolo degli operatori è, infatti, centrale nella attivazione di una rete di supporto che possa aiutare le donne ad uscire da situazioni drammatiche. Anna Agosta, presidente di Thamaia, ha evidenziato la prudenza che deve caratterizzare gli interventi da mettere in campo in situazioni così delicate, ad esempio l’attenta valutazione del rischio a cui vanno incontro le donne maltrattate in alcuni momenti, come quello della denuncia, in cui sono più esposte al pericolo.
Nel caso di donne disabili la difficoltà è acuita da diversi fattori e dai problemi specifici che caratterizzano ogni tipo di disabilità, da quella motoria a quella visiva, uditiva, mentale, come ha ricordato Cormaci nella sua introduzione.
Davanti ad una realtà così variegata e complessa, le competenze da acquisire sono molte e varie: inizia quindi per gli operatori, le associazioni e le donne assistite un percorso difficile ma molto rilevante che #insiemesipuòfare.