Nury ha due metri di casa, con le mura e il tetto di latta. Non ha cucina né bagno, non ha mobili, solo un materasso che apre di notte per coricarsi e arrotola di giorno per fare spazio.
Quando padre Franco si affaccia alla sua porta, lo accoglie contenta, ma non ha dove farlo sedere. Dopo qualche settimana, quando lui torna a visitarla, lo fa accomodare su un’asse di legno appoggiata a due pietre e il padre vede il materasso occupato da un’altra donna, più giovane, incinta.
Nury l’ha portata con sé dopo averla incontrata per strada, sola, senza casa, senza marito, senza lavoro. Ha pensato che aveva un tetto e un materasso da condividere con lei.
Un racconto semplice, diretto, un esempio di come i poveri sappianovivere la fraternità, la solidarietà, l’aiuto reciproco, il bisogno che ognuno ha dell’altro per sopravvivere.
L’autore del racconto è Franco Nascimbene, missionario comboniano, che ha scelto la povertà come stile di vita, prima in Equador e adesso in Colombia, dopo una parentesi a Castel Volturno, a fianco delle prostitute africane vittime di tratta.
Invitato da Pax Christi per la Rete Restiamo Umani/Incontriamoci, martedì 27 novembre nella chiesa del Crocifisso della Buona Morte ha accettato di mettere in comune le sue esperienze, le sue riflessioni, la sua analisi della situazione attuale dell’America Latina all’interno della strategia perseguita dagli Stati Uniti d’America.
Dopo aver vissuto alcuni anni nella foresta dell’Ecuador, dove visitava i piccoli villaggi indigeni, padre Franco e il suo compagno Ferdinando attraversano un periodo di crisi e di ripensamento.
Riflettono sulle condizioni di privilegio in cui vivono, dalla casa all’automobile all’aiuto economico che ricevono dall’Europa. “Rispetto ai poveri che dovevo evangelizzare ero una persona ricca, un Babbo Natale che risolveva i problemi, non un fratello”.
Lo ammonivano le parole stesse di Gesù, venuto a portare la “buona notizia” ai poveri e che i poveri aveva scelto per costruire il suo Regno; lo sollecitava la lettura dei documenti della Chiesa latino-americana, sostenitori della povertà anche nei mezzi per evangelizzare.
I due missionari comboniani vanno quindi a vivere in una delle periferie della grande città ecuadoregna di Guayaquil, in cui si vive le case sono palafitte sul mare, collegate da ponticelli di canne, senza acqua potabile né fognature, alla mercè di un boss che tutto dirige e controlla.
La popolazione è per lo più nera, povera, molti fanno i venditori ambulanti e anche i padri comboniani, dopo aver rinunciato a qualunque aiuto economico esterno, si sono messi a ricavare, dai semi, latte di soia che vendono in giro per il quartiere.
Senza automobile né frigorifero né televisione, fanno esperienza dell’aiuto reciproco con i vicini: ad uno chiedono di conservare qualcosa nel suo frigo, ad un altro di utilizzare la sua macchina da scrivere per un documento della parrocchia, prestano a loro volta il martello o altri attrezzi a chi ne ha bisogno, e tutti reciprocamente mettono a disposizione la propria piccola riserva di acqua quando non arriva l’autobotte.
“Se avessi avuto più cose – sottolinea Nascimbene – non avrei avuto bisogno degli altri, non avrei fatto piena esperienza della fraternità”.
Vivere da poveri permette di leggere in modo diverso la realtà e anche la Bibbia, e padre Franco si è messo “alla scuola dei poveri”.
L’esperienza che fa oggi in Colombia è dello stesso tenore, anche se è passato dal caldo della palude ai 2600 metri di altitudine di Bogotà.
Tornare a vivere in America Latina significa anche cercare di capire cosa accade oggi in questa parte di mondo, andando al di là delle informazioni fornite dai media ufficiali.
Non può quindi fare ameno di parlare delle preoccupazioni che nutrono oggi gli Stati Uniti e di come pensano di risolverle usando le risorse dell’America Latina.
Il bisogno di acqua, innanzi tutto, un bene che a loro ormai scarseggia e di cui devono necessariamente approvvigionarsi, e poi il bisogno di nuove fonti di energia, e ancora il problema della biodiversità. Tutti elementi di cui l’America Latina è ricchissima.
Acqua buona e abbondante ce n’è tanta, ad esempio nel Sud dell’Argentina. E lì gli statunitensi comprano terreni, supportati dal governo Usa e accettati da quello argentino.
C’è poi l’acqua sotterranea al confine tra Uraguay, Paraguay, Brasile, Argentina e qui la strategia cambia. Si organizza un’operazione di propaganda sulla presenza di guerriglieri islamici e si giustifica l’invio dell’esercito per controllare il territorio.
Altra strategia per quanto riguarda l’Amazzonia e la sua ricchezza di acqua. L’Amazzonia non deve più essere considerata appartenente agli stati in cui ricade, ma territorio di tutta l’umanità che va controllato e difeso da chi si ritiene deputato a ‘salvaguardare’ l’umanità, gli USA.
Quanto alla Colombia, Nascimbeni ricorda che si tratta – in tutta l’America Latina – del paese più amico degli Stati Uniti. Non si è mai allontanato dalla fedeltà al potente alleato, non ha avuto governi critici o infedeli come il Brasile di Lula e Roussef o il Venezuela di Chavez e Maduro, o lo stesso Ecuador.
Non a caso la Colombia ospita grandi basi militari statunitensi, con una alta presenza di mercenari arruolati da società private. Non fanno parte dell’esercito, ma viaggiano con aerei dell’esercito, hanno assoluta libertà di movimento e di azione, non devono presentare documenti, fanno i lavori sporchi senza infangare l’immagine degli USA.
La Colombia è anche il paese della coca e questo lo rende molto interessante per chi fa affari con la cocaina. La possibilità di lauti guadagni a partire dalla coltivazione e dallo smercio di coca ha fatto diventare narcotrafficanti anche i guerriglieri e ha sconvolto la vita delle popolazioni rurali, costrette a coltivarla dai gruppi armati e a distruggerne i campi su ordine dell’esercito.
Esposti alle ‘piogge’ di glifosato che hanno distrutto i loro piccoli raccolti di mais, cacao, banane, i contadini sono costretti ad abbandonare i campi per fare la fame nelle periferie urbane.
Uno spopolamento quanto mai opportuno per le multinazionali che vogliono produrre palme da olio e canna da zucchero per il mercato mondiale.
Tutto questo in un paese che attraversa un momento molto delicato e difficile, quello successivo alla fine della guerra civile, alla consegna delle armi da parte delle Farc, che hanno rinunciato anche ai guadagni della cocaina in cambio della promessa di una, pur limitata, riforma agraria e di nuove possibilità di lavoro che però ancora non si sono concretizzate.
Il Governo non ha infatti, fino ad ora, rispettato gli impegni lasciando aperta la strada a pericolose conseguenze.