Una donna giovane, bella, che parla un inglese fluente e affronta con toni pacati ma decisi un problema spinoso e purtroppo ancora molto diffuso, le mutilazioni genitali femminili.
E’ Nice Nailantei Leng’ete, giovane Masai divenuta – a soli 25 anni – ambasciatrice mondiale di Amref Health Africa, organizzazione umanitaria che promuove progetti di salute nelle aree più isolate del continente africano attraverso il coinvolgimento attivo delle popolazioni locali.
Nice è, in questi giorni, in Italia per parlare di emancipazione femminile come volano per lo sviluppo dell’Africa. E Catania è stata la sua prima tappa. Invitata da Pax Christi, è intervenuta lunedì sera presso la parrocchia Santi Pietro e Paolo.
“Non ho potuto salvare mia sorella dalla mutilazione genitale” racconta “ma il nostro impegno ha evitato questa pratica, così dannosa per la salute mentale e fisica delle donne, a più di 10 mila ragazze che possono continuare ad andare a scuola e formarsi.
Non entra solo nel merito della gravità di questi interventi per i quali ancora si muore e che hanno comunque gravissime conseguenze per le donne che li subiscono, soprattutto nel periodo della gravidanza e al momento del parto.
La sua ottica è globale e il tasto su cui insiste di più è quello dell’istruzione, vero e fondamentale strumento di emancipazione delle donne.
Racconta di come alle mutilazioni genitali siano associati l’abbandono scolastico e i matrimoni precoci, che impediscono alle donne di raggiungere la maturità fisica e psicologica e di acquisire conoscenze che potrebbero migliorare la loro vita.
In molti paesi africani, ad esempio in Kenya, dove Nice opera, l’infibulazione è vietata dalla legge ma continua ad essere praticata soprattutto nei centri rurali più periferici, dove è considerata un rito di passaggio necessario e propedeutico al matrimonio.
Per contrastare questa pratica è necessario innanzi tutto un cambiamento culturale, bisogna che la popolazione locale, non solo le donne e in particolare le madri, ma soprattutto gli uomini, dagli anziani ai giovani guerrieri di ogni singolo villaggio, capiscano le conseguenze negative di questi interventi sulla salute delle donne e sul benessere di tutta la comunità.
“Una parte importante del nostro lavoro è di tipo informativo e non temiamo di farlo in modo diretto, anche mostrando dei video eloquenti”. Gli uomini dei villaggi, infatti, pur accettando la pratica delle mutilazioni genitali femminili come parte della tradizione, spesso non sanno bene neanche in cosa consista.
Ma non basta. Nella cultura africana sono importanti i riti di passaggio e “noi proponiamo dei riti alternativi, che non pregiudicano la salute delle donne e tendono a renderle più consapevoli”.
All’interno della comunità comunità Masai di Magadi è stato sperimentato un rito alternativo che prevede due giorni di tradizionale ‘isolamento’ delle giovani adolescenti seguito da un giorno di grande festa e da una cerimonia di ‘accettazione’ da parte della comunità.
In questi giorni le ragazze vengono istruite sui loro diritti relativi sia alla salute riproduttiva e sessuale sia all’istruzione, parteciparono a discussioni aperte su che cosa significhi essere donna nella cultura Masai e ad incontri finalizzati a rafforzare la loro autostima.
Il rientro nella comunità è accompagnato dal benvenuto festoso delle madri e dalla benedizione degli anziani.
Amref si sta impegnando a diffondere i riti alternativi in altre comunità Masai del Kenya, a Loitoktok e Samburu, e in alcuni centri, come Kilindi Tanga, in Tanzania.
Dalle parole di Nice, ma anche dagli interventi del pubblico, è emerso come quello delle mutilazioni genitali femminili sia oggi un problema che riguarda da vicino anche noi.
Le grandi migrazioni del nostro tempo fanno sì che questi interventi violenti sul corpo delle giovanissime possano essere compiuti a pochi passi da casa nostra. E, come abbiamo visto, non bastano le leggi che li proibiscano.
Le donne interessate dal fenomeno non sono solo quelle del Kenya o in genere dei paesi dell’Africa Orientale, dove opera Amref, che si può sostenere con una donazione.
Si tratta di pratiche diffuse anche in paesi dell’Africa occidentale, dal Mali al Burkina Faso, non a caso tra i paesi più poveri del mondo, in cui l’istruzione, a maggior ragione quella femminile, è poco diffusa.
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