La scuola di Renzi, bonus o malus?

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Finalmente si cambia, la Buona scuola di Renzi valorizza il merito dei docenti! Lo promette la ministra Giannini e il termine merito compare davvero nella legge 107/2015, peccato che l’incentivazione e il relativo bonus non riguardino il lavoro che gli insegnati svolgono in classe, la parte più importante del loro ruolo.
L’annoso e complesso problema della valutazione dei docenti è stato sbrigativamente risolto dalla legge 107/2015 con delle indicazioni di base a partire dalle quali i comitati di valutazione delle singole scuole devono definire i criteri di attribuzione del bonus. Sulla base di questi criteri spetta poi i dirigenti scolastici attribuirlo, ripartendo la somma appositamente stanziata dal Ministero.
I criteri sono stati di recente scelti, istituto per istituto, con la paradossale anomalia di definire le regole del gioco non prima dell’inizio della ‘competizione’, come dovrebbe essere, ma a ‘gara’ già conclusa.
Proviamo a citare alcuni di questi criteri, scelti nelle scuole del nostro territorio e facilmente reperibili sui siti delle scuole stesse.
Tenere un atteggiamento collaborativo (con la dirigenza?), partecipare con gli alunni a concorsi, gare ed eventi, svolgere funzioni di gestione o coordinamento, contribuire al ‘benessere organizzativo’ rendendosi disponibile alle sostituzioni dei colleghi assenti, essere disponibile a compresenze interdisciplinari in ore non retribuite, essere disponibile a collaborare con la dirigenza per un tempo significativo in periodi interessati dalla sospensione delle lezioni (estate…).
Strani criteri che non riguardano, se non di striscio, il lavoro in classe, le abilità didattiche e l‘impegno educativo, che comunque non si capisce come debbano e possano essere individuati.
Inquietante che tra i criteri venga indicata talora la percentuale di assenze dal servizio che non va superata (es. il 20% dell’attività didattica). Se le assenze sono immotivate, infatti, il dirigente ha tutti gli strumenti per contestarle, se si tratta di assenze per malattia o per altra ragione riconosciuta dal contratto di lavoro, considerarle elementi di valutazione negativa significa ledere i diritti dei lavoratori.
Per lo più vengono premiati l’impegno fuori dalla classe (gare, eventi…), i ruoli di supporto alla dirigenza (presenza nello staff del preside, funzioni strumentali) peraltro già remunerati -anche se ‘poveramente’, come accade sempre nella scuola- e persino il ‘lavoro nero’, ossia la disponibilità a lavorare senza essere pagati.
In modo più o meno consapevole si propone di premiare la capacità di farsi notare dal dirigente e di ingraziarselo, magari regolandogli parte del proprio tempo libero, e di dare più soldi a chi già ne guadagna di più.
Il vizio, come dicevamo, sta già nelle indicazioni di base fornite dalla legge 107 che, pur con qualche accenno alle buone pratiche didattiche e alla qualità dell’insegnamento, insistono soprattutto sul “contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica” e sul “successo degli studenti” dedicando un intero punto “alle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale”.
Nessun cenno all’attenzione dovuta alla crescita intellettuale e umana degli alunni in un momento delicato del loro sviluppo, al potenziamento delle capacità critiche in quelli che saranno i cittadini di domani, alle cure per i ragazzi con disabilità o per chi ha particolari problemi di apprendimento.
Quanto al successo formativo e scolastico degli studenti si rischia di farlo coincidere con il superamento delle prove Invalsi, con il risultato che i docenti meritevoli saranno quelli i cui alunni superano brillantemente queste prove, attorno a cui si tenderà a far ruotare tutta l’attività didattica, impoverendo la qualità dell’insegnamento.
Il concetto di “collaborazione”, presente al punto b del comma 129 della legge 107, contrasta con la logica stessa della elargizione del bonus ad una parte del corpo docente (in alcuni istituti se ne indica il tetto massimo).
Premiare alcuni docenti, per giunta sulla base di criteri quanto meno discutibili, mette in crisi il clima di cooperazione necessario per il buon andamento dei processi didattico-educativi.
Di certo stilare pseudo-graduatorie non è la strada migliore per garantire un ambiente di lavoro sereno e proficuo, tanto più se sarà premiato, come inevitabilmente avverrà, soprattutto lo “staff del dirigente”.
Per trarsi d’impaccio, alcuni dirigenti stanno facendo stilare ai docenti della scuola una scheda di autovalutazione, contrabbandata come una sorta di memoria del proprio operato nel corso dell’anno. Alcuni insegnanti hanno rifiutato di compilarla e hanno preteso che il loro rifiuto fosse messo a verbale.
C’è anche chi ha espresso l’intenzione di respingere al mittente lo stesso bonus come forma di contestazione di una logica perversa che può solo danneggiare la scuola.

4 Comments

  1. C’è da chiedersi dove sono i genitori degli alunni italiani. Da mamma, nello scegliere in quale sezione cercare di iscrivere le mie figlie, non mi interesserebbe certo sapere quanto i loro docenti collaborino col dirigente, gestiscano laboratori, passino tempo a scuola il pomeriggio…
    Mi interessa sapere quanto sono preparati e, soprattutto, se sanno porgere, se credono nel loro lavoro, se sono attenti ai loro alunni come persone. I genitori italiani dovrebbero chiedersi quale tipo di scuola promuova questa forma di “valutazione” e se a loro stia bene così.

  2. Risparmiano sul rinnovo dei contratti e tenteranno di risparmiare sugli scatti di anzianità inventando queste offensive regalie che avrebbero la pretesa di evidenziare eventuali meriti. In una struttura pubblica italiana il criterio di meritocrazia è pericoloso e inapplicabile e serve solo a dividerci e metterci in competizione l’un l’altro. A me sembrerebbe semplicissimo non cascarci ma il profilo del docente è vario e sto già assistendo a scenette di cui mi vergogno.
    Sintetizzando: risparmiano e ci mettono uno contro l’altro, ottimo modo per gestire la nostra ignavia con facilità.

  3. La normativa attuale tende a creare un esercito di lecchini e di mentecatti al servizio dei dirigenti.Manca il riferimento al merito e qual ch’è grave è che la dignità di ogni insegnante viene ignorata e la competenza disconosciuta.

  4. Gentile autore dell’articolo, con i soldi che il comune e gli enti locali a catania spendono in affitti, si potrebbero reperire le risorse necessarie per l’edilizia.
    sa quanto si spende per gli affitti degli uffici pubblici, nonostante il patrimonio immobiliare pubblico locale (che è cospicuo) possa essere valorizzato con estrema facilità?
    Ormai raramente vengono pubblicati articoli dal Vostro giornale sulla spesa pubblica, soprattutto negli ultimi mesi.
    Cosa dice il movimento 5 stelle?
    perchè in parlamento non si propone una interrogazione parlamentare sulla spesa pubblica (in generale) nella città di catania, elencando le proprietà immobiliari inutilizzate lasciate in disuso, con le relative metrature, e quelle per le quali si pagano gli affitti.
    MI riferisco agli affitti del comune, della provincia, della sede della agenzia del demanio di via orlando 1, ed anche all’affitto citato in questo articolo, in cui si legge:” Le cifre salgono vertiginosamente per la sede della motorizzazione in via San Giuseppe La Rena per la quale vengono dati 682.894,09 euro alla Vir Immobiliare.”
    questo il sito dove è pubblicato:
    http://catania.meridionews.it/articolo/42871/questure-e-commissariati-i-costi-annuali-degli-affitti-si-spendono-complessivamente-tre-milioni-di-euro/
    perchè non scrivere un articolo sulla spesa pubblica locale?

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