Scuola, la carica dei 600 contro il 'merito'

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“Qualora dovessero ricevere il premio, lo restituiranno alle scuole di appartenenza (sotto forma di donazione) affinché tali fondi vengano utilizzati per migliorare la qualità del lavoro”.
Il premio, in denaro, di cui si parla è quello previsto dalla legge 107/2015 (cosiddetta Buona Scuola) per i cosiddetti docenti meritevoli. A dire che lo restituiranno sono stati, sino ad oggi, 550 insegnanti catanesi che hanno fatto proprio e sottoscritto un appello promosso dai Cobas Scuola del capoluogo etneo.
Ma andiamo con ordine. La contestatissima legge 107 prevede che il Dirigente Scolastico assegni ogni anno tali premi, tenendo conto dei criteri generali elaborati da un Comitato di Valutazione.
Quest’ultimo è composto da: lo stesso dirigente, un membro designato dagli uffici scolastici, tre docenti e due genitori, o un genitore e un alunno nella scuola secondaria superiore di secondo grado.
La stessa legge, peraltro, prevede che tali criteri vengano individuati, nei primi tre anni dalle singole scuole e successivamente a livello nazionale, sulla base dei seguenti indicatori di massima:

  • qualità dell’insegnamento e contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica, nonché successo formativo e scolastico degli studenti;
  • risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche didattiche;
  • responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale.

Nell’appello si legge che:

  1. “tale sistema di valutazione comporta uno sterile aumento della competizione individuale tra i docenti, mentre al contrario una scuola di qualità ha bisogno di effettiva collegialità e cooperazione”;
  2. “i docenti sarebbero spinti ad uniformare l’attività didattica a criteri prestabiliti, sacrificando di fatto il pluralismo e la libertà d’insegnamento, nonché le reali e specifiche peculiarità della singola classe e dei singoli alunni”;
  3. “il potere deliberante -sull’assegnazione dei premi- dei dirigenti scolastici (che presiedono anche il Comitato, decidono sull’esito dell’anno di prova, scelgono i docenti a cui conferire l’incarico triennale) determina una forte gerarchizzazione e aziendalizzazione della scuola pubblica, minandone il pluralismo e la democrazia previsti dalla Costituzione”.

Nella presentazione pubblica del bilancio dell’iniziativa, gli esponenti del Sindacato di Base hanno sottolineato i guasti che un tale meccanismo produrrà nella vita scolastica.
Ammesso che si possano definire criteri “oggettivi” in base ai quali definire i migliori docenti, si sono chiesti se ciò migliorerebbe la proposta educativo-didattica di una scuola.
Chi lavora peggio, a loro parere, non sarebbe stimolato a modificare ciò che fa, anzi, probabilmente, ricaverebbe dalla mancata elargizione del premio un ulteriore elemento di “disimpegno”.
E chi lavora meglio quale interesse avrebbe a condividere con altri le sue buone pratiche, aiutando, così, eventuali concorrenti?
Ciò che occorre -sostengono- è l’esatto contrario: individuare percorsi credibili di formazione/aggiornamento capaci di migliorare la qualità del lavoro di tutto il personale.
E, soprattutto, investire nell’istruzione, in strutture, supporti didattici, salario.
In sostanza, occorre ritornare alla scuola della Costituzione, quella che ha permesso, dal secondo dopoguerra, una costante crescita culturale, e civile, del Paese. Una scuola da riformare, da fare crescere ulteriormente, da migliorare, non da rinnegare.
Infine, secondo i Cobas, il più che positivo esito della raccolta firme è di ottimo auspicio per la campagna referendaria che dal 9 aprile vedrà impegnati tutti coloro che hanno contestato la 107, con l’obiettivo di abolirne alcuni dei commi più discussi, relativi
all’assunzione diretta da parte dei presidi, al comitato di valutazione, al numero di ore di alternanza scuola-lavoro, ai finanziamenti alle scuole private.

3 Comments

  1. Premesso che è opportuno valutare il lavoro del docente, i meccanismi attivati dalla legge 107 non sono sicuramente i migliori per tutte le osservazioni fin qui illustrate nella petizione. Tuttavia neanche perseguibili mi sembrano i suggerimenti dei percorsi di formazione/aggiornamento. Chi li fa? I docenti universitari?i docenti più bravi? gli specialisti della didattica ? Li farebbero gratis? Rimandare sempre alla libertà di insegnamento, allo spirito della Costituzione, mi sembra rimanere nel vago .
    Io riconosco che la nostra categoria è molto individualista. Il docente è una monade raramente aperto alla collaborazione e allo scambio di esperienze. Nella mia ex scuola per esempio hanno firmato solo 6 colleghi su 100 docenti perché a molti piace questo premio che gli permetterà di fare la “differenza”!!!

  2. Un conto è spiegare che il metodo di valutazione proposto del Ministero ha molti difetti e possibilmente fare proposte serie ed efficaci per migliorarlo, un conto è sostenere che, come sembrano fare i COBAS, non si possano valutare gli insegnanti (e, più in generale, i dipendenti pubblici) in modo analogo a quanto si fa nelle grandi aziende private.
    Non è corretto demandare tutto ad un generico miglioramento della situazione dell’Istruzione (strutture, finanziamenti, corsi, salari) o suggerire come rimedio i corsi di aggiornamento.
    Sono modi per eludere il problema: i corsi di aggiornameto vanno fatti, come normalmente (e talora obbligatoriamente) si fanno per altri tipi di professionii: la valutazione è altra cosa.
    Non si può nemmeno sostenere che non si possono valutare gli insegnanti perchè i risultati ottenuti dipendono molto dalla qualità media degli allievi, anche di questo si può tener conto.
    Abbiamo tutti il ricordo di insegnanti variamente bravi ed impegnati insiema al ricordo di insegnati molto, molto scadenti, ignoranti, ottusi, lavativi, che sarebbe stato meglio utilizzare per la pulizia dei cessi o delle strade.
    Le valutazioni non solo è possibile farle, ma si fanno.
    Come spiegare altrimenti tanta competizione e tanto impegno da parte dei genitori attenti per cercare di ottenere che i figli vengano messi nelle sezioni dove insegnano i professori migliori ?

  3. Che ci siano docenti più bravi di altri è del tutto evidente, che i genitori vogliano per i propri figli gli insegnanti migliori è altrettanto scontato. La domanda è, però, un’altra: se alcuni professori saranno pagati di più il livello medio dei docenti migliorerà? Se la risposta è no (e non può essere altrimenti) il “premio” non servirà a nulla. Al contrario, la 107 innescando stupidi meccanismi competitivi (degni di una vera e propria gara) accentuerà, ciò che, purtroppo, già oggi avviene: ognuno lavorerà separato dagli altri, non condividerà nessuna buona pratica, cercherà, appunto, di dimostrare di essere il migliore. Verrebbe conseguentemente meno un’idea moderna della ricerca e della didattica e sarebbe sacrificato quello spirito cooperativo che determina un agire condiviso, l’unico che ha senso, e produce risultati, all’interno dei percorsi/processi educativi. Inoltre, visto che siamo “umani”, quanti modificheranno le loro convinzioni/scelte pur di rispondere positivamente ai criteri decisi dai vari comitati di valutazione? Quanti saranno disponibili a sperimentare nuovi percorsi (che possono anche non ‘spuntare’), andando oltre la più comoda (e ora più remunerativa) strada della standardizzazione? Quale fiducia riporranno genitori e alunni nei confronti dei docenti che, pur “marchiati” come meno capaci, continueranno, ovviamente, a insegnare?
    Perché, quindi, perdere tempo e denaro per un obiettivo inutile per la collettività? Perché inseguire (la sciocchezza di) misurazioni oggettive che, in quanto tali, non esistono? Interroghiamoci, invece, su quante risorse e quali strumenti si possono utilizzare per raggiungere l’unico obiettivo che abbia senso: migliorare il livello complessivo dei processi educativi. Magari evitando il riferimento (ideologico) al privato, sui cui meccanismi, nel nostro Paese, pesano come macigni scandali e imbrogli, ampiamente documentati. Nell’appello, rispetto al che fare, si fanno alcune proposte (evidentemente più che sintetiche), possono, però, rappresentare un primo punto di partenza per ragionare insieme su come rilanciare l’idea di una scuola pubblica, qualificata e per tutti.

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