Hotspot Pozzallo, fuggono i medici senza frontiere

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Donna eritrea prega - Pozzallo centro di prima accoglienzaIn India, in Siria, nelle zone calde del mondo, ma non a Pozzallo. L’organizzazione umanitaria Medici senza frontiere, che cerca di assicurare il diritto alla cura in molti teatri di guerra e in situazioni di povertà e bisogno di tutto mondo, non garantirà più la sua presenza nell’hotspot di Pozzallo (leggi, Hotspot, il punto caldo dell’idenfificazione).
Si è ritirata per protesta contro le condizioni inaccettabili di questo ‘Centro di primo soccorso e di accoglienza’ e denunciando il colpevole disinteresse del governo.
La notizia, passata di striscio sui media nazionali, è stata ripresa anche all’estero e la troviamo su uno degli ultimi numeri di Internazionale.
Non solo sovraffollamento, infestazioni di blatte, bagni sporchi, promiscuità forzata, infiltrazioni di acqua e muffa nei dormitori.
Non solo assenza di comunicazioni con il mondo esterno, tanto che nemmeno gli avvocati esperti di diritto d’asilo possono entrare, confermando l’utilizzo di queste strutture come centri di detenzione a breve termine.
C’è dell’altro, Msf lo spiega in un rapporto presentato alla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, identificazione e trattenimento dei migranti.
La squadra di 12 operatori, medici, infermieri, psicologi e mediatori culturali di Msf, che ha operato a Pozzallo, lamenta soprattutto la mancanza di collaborazione da parte delle istituzioni locali, una situazione che non accenna a cambiare e dimostra che non c’è la volontà di migliorare le condizioni di accoglienza.
Nessuna risposta, per quanto sollecitata, è arrivata dal Ministero dell’Interno.
Il nodo più difficile e delicato, per gli operatori di Msf, è quello delle enormi difficoltà nell’identificare i casi ‘vulnerabili’. Minori, donne oggetto di tratta, vittime di tortura e violenze, dovrebbero essere identificati all’approdo, in un momento di confusione generale e di disorientamento soggettivo da parte di chi ha affrontato un viaggio rischioso e debilitante.
Se si commettono -come spesso accade- errori di valutazione in questo momento, gli psicologi rischiano di perdere le tracce delle persone che dovrebbero aiutare.
La mancanza di spazi di privacy, visto che talora non c’è nemmeno la possibilità di muoversi tra i materassi buttati sul pavimento che fanno da letto ad alcuni ospiti, impedisce di portare avanti i colloqui per identificare le vittime di tortura o coloro che soffrono di disturbo post-traumatico da stress.
Se le cose non cambieranno, se il sistema di accoglienza italiano resterà “emergenziale, caotico, al di sotto di qualsiasi standard”, come lo ha definito Judith Sunderlanddi Human rights watch, sarà sempre più difficile lavorare seriamente in questo settore.
Eppure gli approdi dei profughi sulle coste italiane vanno avanti da diversi anni e nel 2015 non si è verificato un aumento significativo degli arrivi. Le cifre sono alte ma non ingestibili. Ci sarebbe stato il tempo e il modo per organizzare un’accoglienza più efficiente e più umana.
Se questo non è avvenuto e non avviene, il motivo è semplice: l’Italia non intende cambiare politica sulle migrazioni.
Tutte le volte che i nuovi arrivati saranno velocemente etichettati come ‘economici’ e rimandati indietro, quando i minori verranno considerati sbrigativamente maggiorenni e respinti, nessuno protesterà.
Tanto meno Bruxelles che avrà un numero più basso di migranti da ricollocare e meno castagne da cavare dal fuoco. In barba al rispetto dei diritti umani.
Leggi l’articolo originale di Kavitha Surana, Quartz, USA su Internazionale.
 

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