Latrina, vespasiano, cesso, comodo, gabinetto, licet, orinatoio, pisciatoio, porcheria, ritirata, schifezza, servizi, tazza, toilette,Wc, water, water closet. Tutti sinonimi di bagni pubblici.
Non solo accanto a tali strutture, situate nel centro storico della città, tempo fa, con alcuni cartelli, gli amministratori si rivolgevano ai cittadini così: “Catania è la tua città: mantienila pulita”.
Oggi questi cartelli andrebbero riscritti e la frase, formulata questa volta dai cittadini e rivolta agli amministratori, potrebbe diventare “Catania vuole diventare una città civile: mantenetela pulita”.
Tocca infatti all’amministrazione comunale migliorare, potenziare e segnalare con precise indicazioni tutti quei servizi pubblici (dai cassonetti ai bagni) finalizzati al raggiungimento di quell’obiettivo .
I cartelli dovrebbero inoltre essere tradotti in più lingue, considerata la presenza di tanti immigrati, molti dei quali, insieme ai sempre più numerosi senza tetto nostrani, si accampano nelle strade e nelle piazze per trascorrere la notte, ad esempio sotto i portici di corso Sicilia. Oppure circolano per tutta la città senza poter usufruire di strutture in cui espletare le loro funzioni fisiologiche.
Questi “forzati” clochard, alcuni figli della crisi economica, altri fuggitivi dalle zone di guerra in Africa e in Oriente, sempre più frequentemente sono costretti a utilizzare per i loro bisogni gli angoli delle strade, ammorbando l’aria.
Anche noi catanesi residenti avvertiamo l’esigenza di questo servizio, soprattutto in casi di emergenza o in presenza di particolari patologie. Pochissimi tra noi, per non dire quasi nessuno, sono tuttavia al corrente di dove si trovino i bagni pubblici disponibili e forse siamo scettici sulla possibilità di adoperarli, temendo che siano di fatto tanto sporchi da essere impraticabili.
Proviamo a descrivere, dopo una ricognizione incompleta e con gli occhi del cittadino comune, la situazione attuale dei bagni pubblici della nostra città,
Ce ne risultano circa una decina, dei quali però solo alcuni attivi. Gli altri sono chiusi e talora in stato di totale abbandono.
Iniziamo da quello di piazza Palestro, il ‘Fortino‘, chiuso da una cancellata e trasformato all’interno in una discarica. Non attive anche le strutture di parco Gemmellaro, della zona del Palacatania, di piazza Santa Maria di Gesù, di via Cimarosa, presso il ‘grattacielo’ e di piazza Cavour, il Borgo, che sarebbe fornita anche di docce.
Tra i bagni aperti e funzionanti abbiamo -in centro- le due strutture della villa Bellini, quella di via Candio, nelle adiacenze di piazza Carlo Alberto, e quella di via Lavandare, forse la più degradata della città, vicino ad un ingresso laterale di villa Pacini
In periferia segnaliamo quelli del parco Gioeni, accessibili e funzionanti, e quelli del Boschetto della Plaia, attualmente chiusi.
All’interno, sporcizia e liquami, porte che spesso non chiudono, prevedibili scritte sui muri e naturalmente cattivi odori che si diffondono anche all’esterno. Una pessima carta di presentazione per la città.
Il catanese medio, che non si fa certo conoscere per i comportamenti civili e per il rispetto delle regole, qui dà il meglio di sé. La cattiva amministrazione fa il resto. L’ultimo intervento di manutenzione, ad esempio, pare risalga al lontano 1995.
Si tratta quasi sempre di luoghi non praticabili, a meno di rifornirsi di galosce, maschera e guanti. Ce ne rammarichiamo ma in fondo non ci sorprendiamo. Quando sono in cattive condizioni ma non troppo, ci sembrano quasi accettabili. Le nostre aspettative sono ormai così basse da renderci tolleranti.
Davanti a questa situazione, il minimo che si possa fare è chiedere al Comune di garantire l’adeguata pulizia dei bagni attivi. Il passo successivo è intervenire per la manutenzione, il ripristino, l’adeguamento delle strutture esistenti e la realizzazione di nuovi impianti. Consegnati alla cittadinanza in perfetta efficienza migliorerebbero le condizioni di vivibilità e convivenza, per tutti.
Mentre il costo della pulizia dovrebbe essere previsto tra le spese correnti da mettere a bilancio annualmente, gli interventi strutturali non si possono fare a costo zero ed è prevedibile che il Comune risponda alle richieste di intervento opponendo la solita motivazione della mancanza di fondi.
Ci permettiamo quindi di avanzare una proposta. Considerata la oggettiva necessità di queste strutture e il ruolo che la città riveste ormai nell’ambito della emergenza profughi, suggeriamo all’amministrazione comunale di richiedere un finanziamento all’Unione Europea presentando un progetto ad hoc degno di questo nome.
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