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Io, Rosario Rizzo, portiere del Catania nel ‘46

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Catania 1947C’è qualcuno che si ricorda il nome di uno dei primi portieri del Catania? Difficile, ma non per Argo, che lo ha rintracciato e intervistato.
Dalla chiacchierata è venuto fuori un quadretto emozionante e struggente di una certa Catania degli anni 1930-1950 che va ben al di là della memoria sportiva: la Catania dei quartieri popolari a cavallo della seconda guerra mondiale, del mitico S. Berillo vecchio, la Catania dei catanesi del dopoguerra, con tutta la loro voglia di riscatto e di promozione sociale.
Emblematica la figura di Rosario Rizzo, figlio di un vetturino invalido di guerra, che si inventa mille lavori per mantenere la famiglia e anche per pagarsi gli studi universitari, conclusi con successo nel 1956.
Fra questi lavori, nel 1946, anche quello di giocatore di calcio della principale squadra della città, appena rinata sotto la denominazione di Club Calcio Catania’.
Significativo anche il fatto che, a quei tempi, si giocasse al calcio per pura passione, anche a livello semi professionistico, e vi si dedicassero persone che avevano un mestiere e che provenivano da vari ambienti sociali.
Nostalgia dei bei tempi andati? Forse, ma certo erano tempi che consentivano con più facilità alle persone di esprimersi con tutta la loro semplice umanità.
Ecco il breve racconto autobiografico.
Sono nato l’otto Gennaio 1927, ufficialmente, ma in realtà ho visto la luce il 26 Dicembre 1926 all’una di notte, per rubare un anno allo Stato, come si usava allora.
Sono nato a S. Berillo in via Fallica 20 (vedi che nome), angolo via Boccadifuoco; a quell’epoca si diceva, con malcelato orgoglio, che a S. Berillo ci fossero 54 casini, il quartiere a “luci rosse” più grande d’Italia, secondo solamente a Bologna.
A S. Berillo si distinguevano case a luci rosse, notoriamente aperte ad un pubblico di ogni ordine e grado, case a luci rosa, dove si lavorava in incognito per una cerchia ristretta di amici e parenti, e case a luci bianche, quelle dei ricchi che, si sa, non hanno mai avuto necessità di lavorare, ma se lo fanno lo fanno solo per hobby.
A S. Berillo la luce elettrica arrivò per ultima in città; a casa mia le luci scarseggiavano, mi ricordo ancora il lampionaio che accendeva i fanali davanti casa mia e che usavamo anche per illuminare gli interni, risparmiando.
La mia famiglia era composta da 7 persone, mio padre Jano, vetturino per privati benestanti, ex cavalleggero reale durante il servizio militare a Roma, partecipante alla marcia su Roma, mia madre, Concetta, casalinga, mia sorella Maria, signorina ancora viva e vegeta, e quattro fratelli, tutti morti.
Mio nonno, Rosario come me, da Caltanissetta, si vantava di essere figlio di un garibaldino e si ricordava di una fotografia di suo padre con il generale Garibaldi.
A 10 anni, mentre frequentavo la quinta classe elementare, alla Santa Giuffrida di via Coppola, e mi preparavo per gli esami di ammissione alla scuola media, il professor Luigi La Marca, ex fascista tutto di un pezzo, disse a mio padre, che gli chiedeva consiglio riguardo i possibili mestieri verso cui indirizzarmi: “il ragazzo è nato per studiare“.
In effetti ho fatto un sacco di lavori prima di laurearmi in economia e commercio nel 1956. Nel 1967 ho vinto, primo in Italia, il primo concorso per l’insegnamento per merito distinto, ripristinato dopo la sospensione imposta dal fascismo nel 1937. Dopo di allora ho vinto il concorso per preside e tale sono rimasto fino alla pensione.
Ho praticato lo sport per tutta la mia gioventù; nel 1945 ho partecipato con successo anche ad un “triangolare” di atletica leggera: Sicilia – Sardegna – Campania.
A 10 anni facevo il raccattapalle al Cibali, quando il Catania, che aveva un altro nome, era allenato da un certo Ferraris IV, genovese, già centromediano della nazionale italiana.
Ho cominciato a giocare al calcio come portiere, ai salesiani del S. Filippo Neri, in via Teatro Greco; poi ho fatto i campionati studenteschi con la mia scuola, il ‘De Felice’.
Durante una delle ultime partite, avevo 16 anni, fui notato dall’ingegner Michisanti, che era il titolare dell’impresa che gestiva la nettezza urbana a Catania, nonché dirigente del Catania, il quale mi ingaggiò per 3000 lire al mese, mentre lo stipendio nazionale era di circa 18000 lire, dicendomi che dovevo essere orgoglioso di giocare per il Club Calcio Catania (CCC, che pareva quasi l’Unione Sovietica).
E così nel campionato 1946/1947 cominciò la mia avventura in serie C, che durò poco più di un anno.
L’anno successivo fui contattato dalla società calcistica “Reduci e Combattenti” di Enna che mi offrì 16000 lire al mese per giocare in una categoria inferiore. Michisanti cercò di trattenermi facendo leva sul mio orgoglio di catanese, ma io mi svincolai dal suo ricatto morale dicendo che dovevo mantenere la mia famiglia, cosa del tutto vera dato mio padre, rimasto invalido dopo sette anni di prigionia in Kenia, non poteva più lavorare.
I miei compagni di squadra, al Catania, quelli della foto allegata, erano quasi tutti catanesi, solo due erano “stranieri” cioè torinesi che non ricordo come finirono qui. Oggi sono tutti morti.
La stella della squadra fu Greco, centravanti e avvocato di vaglia; poi da sinistra e dall’alto si distinguono:
Mirabella, terzino sinistro, impiegato delle ferrovie dello Stato; Saccone, terzino destro, impiegato in una cartoleria; Bucalo, mediano destro, laureato in fisica; Scuderi, ala sinistra; Mineo, mediano sinistro, gestore di uno spaccio alimentare; Castro, mezz’ala destra, mio cugino in quanto cugino di mia moglie; Bertuzzi, mediano sinistro, torinese; Fardella, centromediano, direttore dell’ufficio anagrafe di Catania, laureato in qualche cosa; io, Rizzo, portiere, poi preside, oggi si direbbe dirigente scolastico.
Il campionato di serie C 1946/1947, fu, per il CCC, un campionato di media classifica; la partita più bella, per me, fu quella contro l’Acireale che disponeva di un centrattacco rinomato, un corazziere che mi bombardò per tutta la partita, da tutte le direzioni e che finì 0 a 0 anche per le mie strepitose parate.Catania - C - 1946-1948

3 Comments

  1. Mentre leggo l’articolo sento alla radio dello scandalo scommesse e corruzioni che ha investito di nuovo il mondo del calcio, anche quello delle categorie inferiori; mi piacerebbe sentire un commento del professore-portiere R. Rizzo

  2. Quando lo sport e tale,anche uno come me che detesta il calcio, si appassiona.
    Sara’ nostalgia o consapevolezza di aver perduto il senso del gioco che oggi, anziche’ unire, divide!!

  3. Fa´orgoglio a chi ha vissuto questi periodi della storia del calcio,se si pensa come oggi viene gestito da certi Club sponsorizatii da gente che adopera i soldi per corrompere quello che una volta si chiamava Calcio!Quando ero bambino e poi giovane si giocava per lo sport e per il vero calcio,oggi fa´schifo vedere come certa gente ha ridotto questo sport solo per fare sporco denaro dietro la facciata di certi Club.Se in Cina o altrove fanno questi atti criminali e´tempo che in Italia si ripulisca qesto ambiente!

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