Metz Yeghérn, il “Grande Male“. Così gli Armeni chiamano il massacro del proprio popolo che viene commemorato proprio oggi, 24 aprile. Che si possa definire o meno un genocidio, che sia stato o meno il primo genocidio del Novecento (questioni divenute oggetto di dibattito dopo le recenti affermazioni di papa Francesco), si trattò comunque di un evento drammatico che, solo tra il 1915 e il 1916, portò alla eliminazione di circa un milione e mezzo di persone.
Se ne è parlato, nel seminario su “La Grande Guerra in Medio Oriente: imperi, nazioni, minoranze” organizzato da CoSMICA (Centro per gli Studi sul Mondo Islamico Contemporaneo e l’Africa) nel centenario di questo terribile evento e più in generale dell’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale.
Ne hanno discusso Hamit Bozarslan, del Centre d’études turques, ottomanes, balkaniques et centrasiatiques di Parigi, Fabio Grassi, dell’Università di Roma La Sapienza e due studiose dell’ateneo catanese, Pinella Di Gregorio e Daniela Melfa.
E’ emersa una ricostruzione del passato che può aiutarci a capire il presente, come sempre dovrebbe fare la storia. Lo ha detto in apertura il direttore del dipartimento di Scienze politiche, Giuseppe Barone, mentre Federico Cresti, direttore di CoSMICA, ha richiamato l’attenzione sull’attuale situazione esplosiva del Medio Oriente a cui, subito dopo la fine della Grande Guerra, si era preteso di dare un assetto duraturo.
La guerra sancì la fine dell’Impero Ottomano, la grande compagine multietnica e multi-linguistica già in via di disgregazione all’inizio del conflitto e il Comitato Unione e Progresso, i cosiddetti Giovani Turchi, che fin dal 1908 aveva preso il potere, accentuò via via l’attacco alle minoranze, liquidate come ‘microbi’ di uno Stato che si voleva sempre più dominato dalla etnia turca.
Con l’ingresso in guerra, non giustificato neanche dall’accordo con la Germania -ha affermato Bozarslan nella sua relazione – i giovani “conservatori e restauratori” dell’impero e del suo “destino biologico” si trovano, infatti, a combattere non solo sul fronte esterno ma anche su quello interno, da oriente (dove era presente la minoranza armena) ad occidente (dove c’era un consistente insediamento di greci).
Contro gli Armeni, considerati vicini ai Russi e quindi traditori, si scatena una violenza di cui le stesse vittime vennero additate come responsabili. Dietro lo sterminio di questo popolo, Bozarslan ha ricordato che c’è stato anche un interesse economico, quello dei notabili che, pur contrari al progressismo del Comitato, beneficeranno delle espropriazioni a danno degli armeni.
Di un nazionalismo turco molto aggressivo nei confronti delle minoranze, e tendente ad una omogeneizzazione etnica, ha parlato Fabio Grassi. Forse quello degli Armeni non sarà il primo genocidio del secolo, ma è certo un massacro che, a suo parere, -sebbene non paragonabile alla shoah- ha paradossalmente un surplus rispetto a quello operato dai nazisti, l’inganno.
Ritiene, d’altra parte, che la ricerca storica abbia cercato di minimizzare l’esistenza sia di un progetto nazionale del popolo armeno sia dello scontro verificatosi tra i vari nazionalismi presenti nell’impero. Molto forte quello dei Curdi che furono in buona parte il braccio armato della soppressione degli Armeni.
Una eliminazione realizzata non solo con le armi ma soprattutto con le deportazioni di massa che uccisero di fame, di freddo, di stenti centinaia di migliaia di persone, soprattutto donne e bambini.
Del nazionalismo armeno, che portò alla creazione di un partito nazionalista e ad azioni eclatanti come l’assalto alla Banca ottomana del 1896, ha parlato anche Daniela Melfa. Una campagna di mobilitazione a favore della causa armena era in atto, ad inizio secolo, anche in Italia come possiamo verificare dai documenti diplomatici italiani su cui Melfa ha lavorato per la sua ultima ricerca.
Tra i documenti reperiti si trova, infatti, anche una missiva degli abitanti di Acireale al ministro Sonnino, in cui si chiedeva di supportare la lotta degli Armeni che, nella diaspora, continuarono ad organizzarsi e a chiedere agli occidentali di pagare il loro debito di gratitudine verso chi aveva contribuito allo sforzo bellico nel Caucaso soprattutto dopo il ritiro della Russia.
Con queste credenziali gli Armeni chiederanno, alla conferenza di Parigi, la costituzione di un proprio stato che comunque, stretti come erano tra l’espansionismo russo e quello turco, non avranno. Animati da questa speranza, enfatizzeranno le sofferenze subite, anche con l’uso di termini come martirio, olocausto, ecatombe.
“La dissoluzione dell’Impero Ottomano ha un ‘convitato di pietra’, l’Europa” ha esordito Pinella Di Gregorio. Sono Francia e Inghilterra a spingere l’Impero Ottomano tra le braccia degli Imperi Centrali con il loro rifiuto di negoziare il suo debito.
Quanto alla Gran Bretagna, in particolare, cerca di farlo implodere dall’interno sostenendo alcune nazionalità come quella araba, anche con l’avventura di Lawrence d’Arabia. Pur avendo dato ai Turchi la religione, gli Arabi erano -infatti- ormai una etnia tra le altre, alla ricerca di una dinastia che potesse divenire punto di riferimento per il loro nazionalismo.
La spartizione del Medio Oriente in zone d’influenza, decisa negli accordi segreti tra Gran Bretagna e Francia, negoziati da Sykes e Picot, portò -dopo la guerra- alla nascita di stati pseudo-nazionali ‘inventati’ dai colonizzatori europei.
Alla nascita di un movimento anti occidentale si rispose con un bombardamento aereo, ma i frutti avvelenati di questo protagonismo europeo si colgono anche adesso, nelle posizioni eversive del nuovo sedicente califfato.
Per non dire della ferita mai rimarginata della Palestina, che -ignorando la presenza radicata di un popolo palestinese- la dichiarazione Balfour individuava come ‘focolare nazionale’ ebraico anche per ottenere, dalle pressioni della lobby ebraica sul governo degli Stati Uniti, l’intervento americano in guerra.
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