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Sgrena a Catania, sensibilità comune mediterranea

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Giuliana Sgrena“Rivoluzioni violate. Primavera laica, voto islamista”. L’ultimo lavoro della giornalista Giuliana Sgrena è diventato occasione per discutere, a Catania, di diritti dei migranti, integrazione multiculturale e derive terroristiche.
In un mondo sempre più complesso e difficile da leggere (anche perché è sempre più labile il confine fra la propaganda e la riflessione sulle notizie reali) l’iniziativa, promossa da SEL e Sinistra/lavoro, ha rappresentato un utile e stimolante momento di confronto e discussione, grazie, anche, ai contributi originali degli altri relatori: Lagdaf Souadou (docente di Storia dei paesi islamici presso il polo di Ragusa), Hassan Maamri (responsabile immigrazione ARCI Catania), Imam Keith Abdelhafid (presidente della comunità islamica siciliana).
Un ponte ideale, secondo la Sgrena, lega le rivoluzioni della primavera araba (ma il riferimento vale solo per Egitto e Tunisia. In Siria e Libia si tratta di lotte di potere) alle battaglie per i diritti e la dignità del lavoro dei Paesi europei/mediterranei.
In questa prospettiva, Piazza Tahrir e la spagnola Puerta del Sol rappresentano due fronti della stessa mobilitazione. Una mobilitazione, non a caso, preceduta nel 2008, da importanti ed estese lotte sindacali, articolata in cortei e manifestazioni dove non erano presenti né simboli né slogan religiosi. Dove le donne sono state protagoniste, rivendicando la conquista della parità di genere (mettendo così in crisi il “maschio arabo) come elemento essenziale per una vera modernità.

Manifestazioni capaci di coinvolgere tutti gli strati sociali, grazie, anche, ad un uso intelligente delle nuove tecnologie. I risultati elettorali -post mobilitazione- favorevoli ai partiti islamisti, non dicono, però, che il vento del cambiamento è cessato, dimostrano, semmai, che i processi di trasformazione non sono mai lineari, che possono subire battute di arresto.
Rimane una “sensibilità comune mediterranea” che rappresenta un patrimonio condiviso. Lagdaf Souadou ha ricostruito, partendo dal 1928 (anno di nascita dei Fratelli Musulmani) lo sviluppo dei movimenti anticoloniali, contestualmente all’affermazione e al successivo fallimento della “nazione araba”.
Si è soffermata sulle elezioni algerine del 1991, vinte dal Fronte Islamico di Salvezza, e sul successivo colpo di stato con il quale, nel 1992, l’esercito prese il potere. La ricercatrice ha inoltre sottolineato come i movimenti più estremisti (ad esempio, in Afghanistan, Al Qaeda) crescano quando il sistema statale è più debole.
Hassan Maamri ha sottolineato la necessità di non cadere nelle trappole dei media e della propaganda, che continuano a parlare di uno stato islamico che non esiste.
E’ ridicolo, ha aggiunto, pensare che eventuali terroristi possano arrivare nel nostro Paese utilizzando “i barconi” degli immigrati che fuggono dalle zone di guerra. Al contrario, ci si dovrebbe interrogare sul fallimento dei processi di integrazione, fallimento che inizia nei centri di accoglienza, o meglio, di detenzione, come dimostrano le ultime vicende del CARA di Mineo.
E’ il fallimento del “meticciato” che crea isolamento, odio, razzismo reciproco, tensione sociale. L’ Imam Keith Abdelhafid ha espresso, in premessa, profonda indignazione rispetto alle posizioni di chi identifica l’Islam, una religione del dialogo, con il terrorismo.
Ha contestato l’assenza nel nostro Paese di una credibile politica sull’immigrazione e ha ricordato come la moschea catanese abbia accolto, allo stesso modo, migranti siriani cristiani e musulmani, perché tutti coloro che fuggono vivono la stessa disperazione.
Gli interventi del pubblico hanno permesso ai relatori di articolare ulteriormente le riflessioni, anche se è rimasto “in ombra” il ruolo delle potenze occidentali (a partire dalle “guerre umanitarie” targate NATO, un’alleanza militare che non ha nulla a che vedere con le Nazioni Unite) ed è rimasta fuori dalle riflessioni l’originalità di un’esperienza di resistenza e costruzione di una democrazia laica e partecipata come quella di Kobane.
Importante, comunque, che su temi così importanti anche a Catania si sia aperto il dibattito.

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