Per ritrovare Tempio, o meglio, per trovarlo, chè il poeta catanese è misconosciuto persino nella sua città. Oppure conosciuto male, ridotto a macchietta, a barzelletta lubrica. Per rivalutarlo l’italianista Antonio Di Grado e il regista e drammaturgo Nino Romeo hanno varato un progetto multidisciplinare, gli Itinerari Tempio, “percorso artistico sull’opera e sulla
figura di Domenico Tempio che sia anche momento divulgativo di uno degli autori più originali e innovativi del settecento siciliano”.
Il progetto ha preso il via lunedì 23 febbraio scorso al teatro del Canovaccio con una lectio letteraria dell’italianista Antonio Di Grado sulla figura e sull’opera del poeta catanese e un intervento di Nino Romeo, regista e drammaturgo sulla teatralizzazione de “L’imprudenza o lu mastru Staci”, l’operetta di Tempio rivisitata e messa in scena proprio in questi giorni e fino a stasera, 1 marzo, al teatro del Canovaccio dallo stesso Romeo e da Graziana Maniscalco.
Una magnifica ossessione questa de L’imprudenza, poemetto letto, riletto, fatto proprio e portato in scena più volte da Romeo. “Non so – dice – se è Mastru Staci che mi perseguita o se sono io a perseguitare lui”.
Ma torniamo a Tempio, “poeta brioso e malinconico al tempo stesso” al quale adesso il progetto degli itinerari vuole rendere giustizia. I percorsi sono ancora da precisare. Sicuramente ne faranno parte lo studio e la divulgazione de La Caristia, non più rieditata dal 66, che costituisce un unicum nella storia della letteratura italiana: alcuni dei 20 canti che compongono il poema rivivranno nella cornice tardo barocca del convento dei Benedettini.
Perché – dice Romeo – parlare di Tempio è parlare della Catania del 700, città all’avanguardia per fermenti culturali e politici.
“Tempio- aggiunge Antonio Di Grado – è Catania. E’ la sua plebe chiassosa e rissosa, il fantasmagorico teatro delle sue vie e delle sue piazze in cui geometria e caos coincidono, il ghigno licenzioso opposto dai vinti ai fasti patrizi, è la sensualità abbacinante che fa tutt’uno con la temperatura arroventata del suo clima, la protervia dei suoi politici truffaldini e accaparratori, la sua Università in preda al demone della masticogna, la bugia delle sue quinte barocche che mascherano miserie e macerie. Ma è anche lo sguardo lucido, irriverente del poeta che la smaschera”.
Gli itinerari vogliono riparare una doppia offesa arrecata al “grande concittadino dimenticato o frainteso” e dall’intellighenzia nazionale e da “una città matrigna”.
Perché questo ostracismo? Cosa si rimprovera a Tempio?
“Non certo l’erotismo – dice Di Grado- associato alla polemica sociale di stampo giacobino, quanto l’originalità, l’irriverenza, la sua anarchia e soprattutto l’aver dato inizio alla lettura polemica della storia come sconfitta del cambiamento e come perpetuazione del dominio della stessa classe dirigente”.
Ecco, la Caristia è il racconto della rivoluzione sconfitta. E così, infatti, secondo De Maria , avrebbe dovuto essere intitolato il poema, La rivoluzione di Catania.
Ne “La Carestia” e ne “Lu vero piaciri” Tempio canta le due facce di se stesso, la fame, la miseria e la sofferenza ma anche il piacere, la voluttà soddisfatta.
E’ appieno poeta dei Lumi ? Tempio non può essere delimitato e circoscritto – dice Di Grado – Egli irride anche al suo tempo, definito “seculu di rapina” e ritiene la Ragione sconfitta, resa “confusa e inabili” dall’interesse, dal negozio, dal guadagno.
Non si può circoscrivere Tempio dentro definizioni rigide, dunque. Su una cosa però si può essere categorici, sulla sua “capacità di trasferire nella versificazione tutti gli umori che lo agitano”.
Così dice Romeo: “I suoi poemi sono fatti per essere detti più che letti”. Sono, cioè, immediatamente trasferibili sui palcoscenici del mondo perché la sua è una lingua di scena, un linguaggio che pur essendo dialetto colto è comprensibile immediatamente anche ai non siciliani.
Sullo sfondo l’illuminismo catanese. Ne dipinge un affresco la storica Lina Scalisi, che, per la verità, parte da prima, dalla fine del 600, dalla Catania annichilita dal terremoto ma al tempo stesso pronta a ripartire facendo leva proprio sulla tragedia per rinascere ed oscurare il primato di Messina capitale.
E’ una città, la Catania del tempo, intellettualmente ed economicamente vivace; ha un patriziato illuminato e una Chiesa aperta alle Scienze. Nella prima metà del 700 Catania cresce anche demograficamente. Ci sono i “signori” come i Paternò Castello, artisti come Vaccarini, visitatori stranieri curiosi e interessati non solo al vulcano. La crescita, però, non dura a lungo e la città, come recasse in sé i germi della malattia, ripiega su se stessa e si ammala. Soffre la fame di una terribile carestia e diventa nella seconda metà del secolo – dice Scalisi- una città incompiuta e “priva di virtù eroiche”.
Ascese e cadute che sembrano tornare inesorabili nel tempo fino ad oggi, in una sorta di disturbo bipolare, che sempre più inclina verso una desolante depressione.
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interessante la ricerca della persona e del suo tempo.
“Il Dante della Sicilia”, così fino a una certa epoca è stato definito Domenico Tempio. In questi ultimi anni col disinteresse verso la lingua siciliana, non solo il Tempio, ma altri poeti come l’abate Meli sono finiti nel dimenticatoio e quando qualcuno ha cercato di riparlarne non ha trovato proseliti e consensi. Penso ai due “grossi “volumi di Studi Tempiani, pur con discutibili argomentazioni e confronti, di Santo Calì e Vincenzo De Maria. Gli stessi professori universitari della facoltà di lettere lo hanno ignorato e solo su richiesta di qualche studente (pochi per la verità)hanno assegnato qualche tesi. Mia figlia ha studiato presso l’Università di Ginevra e ha fatto una tesi su “Ditirammu primu” e “ditirammu secunnu” compresi nel volume “Poesie siciliane” di Domenico Tempio facendo i debiti confronti con altri autori italiani. Una cosa che mi commosse è stato trovare la prima edizione del libro citato presso la biblioteca dell’università di Ginevra, già conservato presso la biblioteca Ariana di Ginevra, per evitare che per i contenuti di alcuni testi poetici venisse messo all’indice e quindi eliminato. A parte questa personale digressione l’opera “La Carestia”, a mio “immodesto” parere per stile, forma e contenuto può competere con qualsiasi opera a livello mondiale. L’assalto al forno descritto dal Manzoni nei Promessi sposi, se confrontato e attentamente analizzato dà l’impressione che il grande scrittore abbia letto l’opera del Tempio. Oggi con la fine della lingua siciliana penso si ponga il problema di una traduzione letterale dell’opera tempiana in lingua italiana. Per fare questo occorre seriamente l’iniziativa delle università siciliane. Tra l’altro esistono presso le biblioteche catanesi anche i manoscritti del Tempio stesso.
Concordo con quanto scritto prima.
Il progetto messo in campo da Antonio Di Grado e da me mira a coinvolgere specialisti di differenti discipline ad “adottare” il “caso Tempio”: bisogna dare una sistemazione agli archivi storici che lo riguardano; bisogna scremare le tante opere attribuite a Tempio dagli originali; è necessario riflettere a lungo sugli aspetti linguistici che le sue opere pongono. Ma, soprattutto, bisogna far conoscere Tempio, la sua centralità nelle lettere italiane del ‘700, le sue influenze sulla letteratura coeva e posteriore (il citato nesso con Manzoni ne è un esempio); è opportuno tracciare i legami estetici con autori siciliani (Verga e la sua “poetica dei vinti”, di cui si è parlato nella serata della quale dà puntuale resoconto Ada Mollica) e non. E, per quanto mi compete e intriga, bisogna rendere “contemporaneità” espressiva alle opere tempiane: la trasposizione scenica de “L’Imprudenza o Lu mastru Staci”, proposta al Teatro del Canovaccio (e con grande interesse e partecipazione)è un mio contributo in questa direzione. Restituire Tempio non “alla città” (espressione retorica dalla quale mi tengo a distanza) ma a quella parte di cittadini che godono (in accezione tempiana) a ripercorrere passi d’altri tra le bàsole su cui camminano. Spero di trovare Senzio come compagno di viaggio in questi “Itinerari Tempio”. nino romeo