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Nel "cuntu" delle donne la storia di Turiddu, partigiano e padre padrone

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E’ stato “lu cuntu” delle donne di famiglia a permettere a Ersilia Mazzarino di ricostruire la storia travagliata di suo padre, Turiddu, partigiano catanese morto in circostanze misteriose quando lei aveva appena due anni.
Da qui nasce il romanzo “Coro a cappella” presentato presso la Biblioteca Popolare Giambattista Scidà nel quartiere di S. Cristoforo a Catania il 13 febbraio scorso. L’incontro è stato organizzato dai volontari del GAPA in occasione del settantesimo anniversario della Liberazione.
L’autrice, nata in Piemonte nel 1942, venne sottratta subito alla madre dal padre e affidata a diverse balie per finire in un orfanotrofio ed essere poi affidata ad una famiglia di Vercelli dove rimase fino ai cinque anni. Richiesta dai parenti paterni venne poi condotta a Catania per vivere con loro, adolescente si trasferì a Palermo dove rimase definitivamente.
Il libro è incentrato sulla figura del padre descritto attraverso le voci femminili: della madre di Turiddu, la quale aveva un legame fortissimo con il figlio, che era di indole espansiva, pieno di ardore politico e religioso; di Sarazza, la ”nurrizza”, sarbaggia e primitiva complice delle marachelle paterne; della sorella, unica femmina di cinque figli, che divideva con Turiddu la passione per il pianoforte; della zita Graziella, mai sposata, “una donna vera, ricca di sensibilità che aveva amato il suo uomo con tutta se stessa”; della nipotina, compagna inseparabile dei giochi infantili di Ersilia, “affascinata dalle strane bamboline nere vestite solo di succinte gonnelle a strisce“ che lo zio portava quando tornava per brevi vacanze dall’Abissinia; di Eugenietta, la cuginetta del cuore e infine di “Lei”, colei che le aveva dato la vita e che conoscerà nel 1961 a Torino in occasione di un viaggio premio al merito scolastico.
L’incontro con la madre mai menzionata per nome, ma sempre definita con il pronome “Lei” è forse il più toccante e occupa l’ultimo capitolo del libro. Si tratta di una donna che, pur avendo amato il padre, ne aveva rifiutato la mentalità oppressiva e autoritaria. Il colloquio è scandito dai frequenti interrogativi che Ersilia rivolge alla madre: “ e di me?” come a cercare all’interno di quella storia di amore una sua collocazione.
Congedandosi dalla madre, che le chiedeva se le fosse mancata, Ersilia risponde non con le parole che le mancano ma con il linguaggio degli occhi, “La mia anima si è immersa nella tua bellezza e amo di te quello che Lui amò” .
Ersilia assorbe le loro narrazioni, esplora le carte familiari, fa proprio quel patrimonio narrativo per ricomporre in un continuum tutte le fasi spezzate della sua vita e per dare linearità alla figura paterna.
Ogni voce narrante consegna non solo ad Ersilia ma anche al lettore la condizione e il ruolo della donna all’interno della famiglia e della società siciliana di quegli anni.
Tutte le donne del libro, in un rapporto generazionale, si passano il testimone raccontando tante storie che poi diventano storia collettiva, ma nello stesso tempo offrono ad Ersilia le molteplici sfaccettature della personalità paterna.
E l’uso del dialetto catanese trasforma la partitura di questo coro a cappella in una teatralità vera conferendogli un valore e una forza comunicativa più intima e autentica.
Centrale nel libro è il ruolo della memoria, che partendo dalla storia individuale e personale di Turiddu Mazzarino, padre di Ersilia, si dilata in quella collettiva, restituendoci un periodo tragico e pieno di contraddizioni.
Queste emergono nel travaglio esistenziale del giovane Turiddu, che, avendo aderito in un primo momento con giovanile entusiasmo al fascismo, considerato progetto rivoluzionario della società, si scontra durante la propria esperienza di giudice presso il tribunale di Harar, in Abissinia, con l’amara e triste realtà di un colonialismo feroce, prevaricatore, e disumano.
Comincia così quella graduale maturazione individuale che lo porterà, dopo il processo intentatogli con l’accusa di antifascismo, a fare la scelta di entrare nel movimento partigiano piemontese.
Altro elemento che caratterizza questo libro è il forte legame che unisce sud e nord nella Resistenza, come è stato ricordato dai relatori intervenuti alla presentazione. La recente storiografia ha del resto riconosciuto nell’insurrezione di Mascalucia, negli ostaggi di Pedara, nell’eccidio di Castiglione i primi segni di ribellione e resistenza contro i crimini commessi dai tedeschi, l’inizio di quella che sarebbe poi diventata la resistenza organizzata nel nord dell’Italia.
A conclusione dell’incontro è intervenuta la stessa autrice, Ersilia Mazzarino, che nonostante gli anni ed un vissuto pieno di emozioni ed esperienze traumatiche, dimostra uno spirito allegro, colloquiale e arguto. In lei coesistono armonicamente, nell’espressione e negli atteggiamenti, lo spirito delle due importanti famiglie catanesi di provenienza, i Mazzarino, storici, ed i Ferro, attori di teatro.
L’autrice si è soffermata sul mistero che avvolge ancora la fine del padre, avvenuta in Piemonte nel 1944, ucciso -in una prima ipotesi- dalle brigate nere. Col passar del tempo si rafforzò invece il convincimento che fosse stato ucciso dagli stessi partigiani. Da qui la forte esigenza di ritrovare il luogo della sepoltura e di continuare la ricerca.
La scrittrice si è congedata con la lettura di alcuni passi del suo libro scelti tra quelli a lei più cari: la toccante lettera che il padre scrive alla madre da Torino il 2 novembre del 1944 e che rappresenta una sorta di testamento spirituale (sarebbe morto pochi giorni dopo), nella quale le affida la sua “nicuzza”; i dodici capi di imputazione per l’accusa di antifascismo per la sua condotta come giudice ad Harar e infine il ricordo di una recita nella casa della nonna paterna in una domenica di Pasqua, allorquando il padre di Ersilia con le sue cuginette allestì un vero e proprio spettacolo teatrale.

3 Comments

  1. Cari amici,
    è corretto precisare che l’evento è stato organizzato in sinergia con ” Lettera di Memoria e Libertà”.

  2. in un momento come questo, nel quale Catania (e tutta la Sicilia) devono assolutamente venire fuori da un tunnel troppo lungo e troppo profondo, reso tale soprattutto dalla frammentazione, dall’ incapacità di trovare strade da percorrere insieme per il bene comune e dove invidia, gelosia, ideologie, sono veleni ancora potenti e presenti, vedo che, purtroppo, e ancora, non si cambia metodo. Si continua (e continuate anche voi) a parlare di fascismo da una parte e di comunismo dall’altra, perdendo di vista l’unico strumento possibile per contrastare con forza coloro che, grazie a questa nostra cecità, continuano a strumentalizzarci.

  3. Gentile signore, la MEMORIA, specie quella portante della cittadinanza, civile, sociale e democratica, rivolta agli eventi costituenti e agli uomini e alle donne che con la loro abnegazione hanno determinato la LIBERAZIONE dell’ Italia invasa ed oltraggiata per lungo tempo dal grido nefando della “razza eletta”, e la NASCITA della nostra Repubblica – con i suoi valori fondativi promulgati dalla Costituzione reggenti il comune vivere -, è elemento imprescindibile della nostra quotidianità.
    E’ un atto dovuto di civile e democratico rispetto. Rivolto a coloro che si sacrificarono nel pieno della loro vita e di fondamentale insegnamento per tutti, specie per le nuove generazioni. Per l’ oggi, e per costruire in maniera costruttiva e partecipata un domani migliore.
    La libertà, il rispetto della dignità di tutti gli esseri umani, la giustizia, l’equità sociale, la partecipazione democratica, la laicità, l’uso trasparente delle comuni risorse, la pace, la solidarietà, la giusta considerazione per i diritti e per i doveri, il rispetto dei beni comuni e dell’ambiente, il contrasto a tutte le forme di sopraffazione, sono i VALORI, pur nelle contraddizioni in essere, che costituiscono le gambe della Memoria civile dei cittadini italiani.
    Conquistati, mai donati da “virtù supreme”. Da difendere sempre. Un popolo senza Memoria della propria storia democratica è sempre preda di tentativi autoritari ( tanti e vari i tentativi nel percorso della nostra giovane esistenza) , per cancellare le libertà e imporre i loro “modelli sociali e ( strumentali) di vita”, come purtroppo avviene in tante parti della nostra amata Gaia Terra.
    Siamo già nel corso dell’anniversario fondamentale per la costruzione della Repubblica: il 70° della LIBERAZIONE….dal nazi-fascismo. Tanti i catanesi e i siciliani che parteciparono con grande dedizione e sacrificio. Ricordare è un comune obbligo! Per avere sempre chiaro da dove viene fuori la nostra libertà.
    Nel libro” Coro a Cappella” si rappresentano in maniera eccelsa, prendendo spunto dalle memoria familiari, gli orrori fatti patire al popolo italiano. Si raffigura il nostro comune coro di Memoria, che grida MAI PIU’!

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