Chissà com’era Catania allora! Dove per allora è da intendersi il Medioevo, l’età intermedia tra l’antica e la moderna. Di medioevo e di Catania si è occupata Marina Mangiameli, studiosa di Storia medioevale e docente al Liceo Boggio Lera di Catania, con un saggio dal titolo “Catania medioevale“, recentemente pubblicato per i tipi Bonanno con la prefazione di Ludovico Gatto. Il testo affronta la multiforme vicenda storica della città dalla ‘riconquista’ normanna all’epoca aragonese.
Dario Stazzone, dell’Università di Catania, l’ ha recensito per Argo.
La studiosa, fin dalla tesi di laurea dedicata a Marc Bloch, ha guardato alla storiografia francese, alle Annales, alle aperture interdisciplinari con una forte consapevolezza di metodo. Nella Catania medievale tutto ciò risulta evidente nella scelta di sobrietà e leggibilità del testo, nell’attenzione alla storia urbana, nella ricognizione delle manifestazioni artistiche ed architettoniche.
Nella prefazione Gatto sottolinea il valore della storia delle città e in specie dello studio dedicato alla Catania medievale: “E questo orientamento in particolare trova la mia più completa approvazione, in quanto Catania non compare nel novero dei centri siciliani ampiamente studiati e quindi un saggio su questa città è più che mai interessante”.
La prima di copertina del saggio, essenziale soglia paratestuale, è illustrata dalle forme sobrie e geometriche del Castello Ursino. Il capitolo iniziale, La città del vescovo e la città dell’imperatore: il caso di Catania tra XI e XIV secolo, trae le mosse dalla descrizione che il geografo arabo Al Idrisi ha dedicato alla ‘città dell’elefante’: “Gran bella città Catania […]; essa gode di un gran prestigio e vasta fama. È situata sulla costiera, ha mercati molto frequentati, alla volta di Catania muovono viaggiatori da ogni contrada per cercarvi cospicui quantitativi di merci di ogni specie”.
Tale doveva apparire il centro siciliano quando i normanni si impegnarono nella sua conquista.
Con acume la studiosa rilegge le fonti e ne mette in evidenza i tratti ideologici: probabilmente gli abitanti di una città ricca e dinamica non salutarono i nuovi conquistatori, ancorché correligiosi, con quell’entusiasmo di cui parla il monaco benedettino Amato da Montecassino.
I normanni dal canto loro, consapevoli che l’alleanza col pontefice (Urbano II) non era immune da pericolose fragilità ed ambiguità, diedero particolare enfasi al culto di Sant’Agata, fondarono, a ridosso del porto, il duomo catanese concependolo come ecclesia munita e con esso un monastero benedettino.
Nel secondo capitolo, Catania normanna, la studiosa sottolinea che la conquista di Catania impegnò un trentennio tra vicende alterne: tenendo conto della difficoltà di instaurare nella città un potere stabile non può apparire casuale la forte concentrazione di poteri nelle mani del vescovo Angerio.
Nel panorama normanno Catania rappresenta una particolarità subito evidente: il vescovo conte era anche l’abate del monastero benedettino. Nella città etnea, dunque, vennero unificati due centri di potere ecclesiastico solitamente rivali, il vescovato e la guida del cenobio benedettino.
Catania assolveva ad un ruolo centrale nel progetto normanno di fondazione di un regno mediterraneo proiettato verso l’Oriente. Senza la tolleranza della dominazione araba non sarebbe concepibile la coesistenza etnica che caratterizzò il regno normanno e si arguisce bene che, senza la capacità normanna di valorizzare competenze delle diverse etnie, non sarebbe pensabile la sintesi di culture che caratterizzò l’epoca federiciana.
Il terzo capitolo, Gli svevi, l’impero e Catania, evidenzia il ruolo di Costanza d’Altavilla che riuscì a conciliare opposte fazioni perché la sua figura rispondeva alla duplice esigenza di mantenere il legame con la parte fedele ai normanni e con quella che aveva visto nel rapporto con gli Staufen una nuova opportunità.
Dopo la morte della madre, Federico II instaurò a sua volta un buon legame con la patria di Agata dove, peraltro, vennero celebrate le sue nozze con Costanza d’Aragona.
La studiosa ricostruisce con acribia i periodi di permanenza federiciana nella città, dal 1209 al 1210, dal 1221 al 1224, nel 1226 e nel 1233. Le date riconsegnano non poche sorprese: tenendo conto della cronologia appare evidente che la risoluzione del problema della crociata sollecitata da Onorio III cade durante uno dei soggiorni catanesi dell’imperatore, ed assai solida sembra l’ipotesi che lo Staufen si sia rivolto ai seniori musulmani della città quali mediatori.
Occorre poi tener conto dell’impegno federiciano di ridurre in tutta la Sicilia privilegi e prerogative eccentriche rispetto alla legge ed al potere imperiale. Una delle strategie adottate dall’imperatore fu quella di moltiplicare le città demaniali, scelta politica di cui si avvantaggiò anche Catania.
In questo contesto la studiosa afferma che il Castello Ursino, lungi dall’esser stato concepito come presidio punitivo verso la città, ha assolto alla funzione di presidio militare e nuovo centro amministrativo demaniale.
Parlando delle architetture geometriche e nude del Castello Ursino la studiosa scrive pagine acute, sottolineando il valore della scelta costiera sottesa dalla posizione del maniero che, dal punto di vista urbanistico, appare eccentrico e sovrastante la zona della Cattedrale normanna.
Nell’ultimo capitolo, Dalla crisi sveva alla reggenza di Bianca di Navarra, la studiosa si dedica alla Catania aragonese con la consueta attenzione alle testimonianze artistiche ed architettoniche, come il palazzo Platamone e il sepolcro di Costanza d’Aragona.
Le pagine incentrate sull’affascinante figura di Bianca di Navarra non sembrano casuali e parlano dell’attenzione dedicata alle donne che ebbero un ruolo essenziale nelle vicende della Sicilia medievale o protorinascimentale.
Complessivamente la Catania medioevale della Mangiameli è lavoro gradevole e necessario, ricco di intuizioni che si spera trovino ulteriore sviluppo nelle indagini rigorose dell’autrice.
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Comprerò il libro e lo leggerò con attenzione. Mi incuriosisce la figura della donna nelle varie epoche ed il degrado che ha subito nell’epoca contemporanea. Non mi pare di scorgere nelle figure di donne che son o emerse nei tempi a noi recenti , personaggi di rilievo che hanno dato un’impronta notevole allo sviluppo dei rapporti socio-economici nell’ambito del territorio catanese e siciliano in genere. Ad eccezione di qualche femminista ,politicamente impegnata come Marietta De Felice ,non credo vi siano state donne di ” polso” cioè votate ad imprimere una svolta politica alle lotte cittadine ed isolane per una gestione veramente democratica ( forse la parola democrazia ) della vita associata.