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"Io sono io e tu sei tu" ovvero il Cara è un albergo a 5 stelle

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Guarda guarda che il Cara di Mineo è molto meglio del resort Bulgari di Bali e non ce n’eravamo accorti. Meno male che ce lo ha svelato il film “Io sono io e tu sei tu”, girato proprio al Cara, recentemente proiettato al teatro Brancati di Catania, finanziato e prodotto dalla Fondazione Integra che ci racconta di questo Centro accoglienza richiedenti asilo come di un centro dei miracoli.
E’ una storia che gronda miele da tutte le parti, quella scritta a quattro mani da Tiziana Bosco e da Rosario Lizzio che – secondo quanto riporta Il Sette e Mezzo magazine – oltre che sceneggiatore è anche addetto stampa del Cara.
Eccola: un giornalista vedovo e pieno di pregiudizi contro i migranti li perde per acquistare, invece, l’affetto del figlio, spesso trascurato, che, a sua volta, riacquista la favella persa dopo la morte della madre, grazie all’amicizia con un coetaneo africano.
Insomma tutto è bene quel che finisce bene anche se siamo al Cara di Mineo, dove l’ultima tragedia è avvenuta a film già girato, nel dicembre scorso, quando si è suicidato Mulue Ghirmay, un giovane eritreo di 21 anni che sognava la libertà in Italia.
Delle altre storie tragiche ha già narrato la cronaca: blocchi stradali, scontri con la polizia, proteste per l’assistenza sanitaria, contro il cibo scadente, l’iter burocratico farraginoso, il non far nulla tutto il giorno, l’esser dentro un enclave isolata e lontana dai centri abitati. E ancora, casi di prostituzione, abusi e violenze, raccontati anche da testate nazionali.
Un po’ fiction, un po’ documentario, il film ingloba alcune interviste nella storia dolce come una melassa della quale vi abbiamo già parlato e che forse ha preso la mano agli sceneggiatori.
«Era nato come un documentario – spiega nella brochure la regista Tiziana Bosco – ma via via che le nostre interviste facevano risaltare un concetto di accoglienza moderno e positivo, abbiamo sentito l’esigenza di raccontare anche la diffidenza, il pregiudizio, le difficoltà dell’ambiente, e quindi è venuta fuori l’idea di una storia». Forse anche le interviste sono diventate un po’ fiction, edulcorate e patinate, poco credibili, anche perché datate (il film è stato girato due anni fa).
Grazie alla magia del montaggio, inoltre, le interviste reali sono quelle che il giornalista realizza nella finzione, con un effetto di ambiguità che lascia perplessi.
Di documentario comunque non è corretto parlare. ‘Io sono io e tu sei tu’, invece di mostrare con delle riprese quello che accade nel Centro, lo fa raccontare agli intervistati, operatori e utenti, pronti a deporre a favore della struttura. Sembra quasi il comunicato di un addetto stampa, di uno, cioè, obbligato per contratto a far propaganda all’ente dal quale dipende.
“E come poteva non essere così?” Si chiede Il Sette e Mezzo magazine: “La Fondazione Integra, che ha prodotto il film è una costola derivata da Sisifo e Sanicop, società etnea di cui Sisifo detiene il 30% (Leggi lo Statuto della Fondazione). Il consorzio Sisifo è capofila della società consortile che gestisce il Cara di Mineo, di cui fanno parte il “Consorzio Sol.calatino Società Cooperativa Sociale”, “La Cascina Global Service s.r.l.”, la “Senis Hospes Società Cooperativa Sociale”, la “Casa della Solidarietà Consorzio di Cooperative Sociali”, l’Associazione Italiana della Croce Rossa” e l’“Impresa Pizzarotti & C. s,p.a.”.
Sette e mezzo prosegue segnalando come legali rappresentati e presidenti di queste società subentrino l’uno all’altro e si scambino i ruoli “come in un giro di valzer”.
Ma perché un Consorzio di cooperative diventa produttore? Forse perché deve farsi pubblicità? E perché un “redazionale” -così si chiamano gli articoli pubblicitari- deve farsi passare  come  prodotto della cultura della solidarietà, dell’integrazione e dell’accoglienza ed essere proiettato nelle scuole?
Anche se l’obiettivo dichiarato del film è “sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema immigrazione ed eliminare i pregiudizi che accompagnano la presenza sul nostro territorio di stranieri, rifugiati e immigrati”, nonché “realizzare concretamente qualcosa che sia utile per l’accoglienza”, come si può parlare di integrazione e accoglienza in un campo situato a 11 chilometri dal più vicino centro abitato, in cui 300 etnie diverse sono costrette a vivere a stretto contatto, senza avere neanche la possibilità di cucinare i propri piatti?
Perchè mostrare i due bambini protagonisti mentre si incamminano verso il Cara come se potessero raggiungerlo a piedi, inducendo gli spettatori a credere che si tratti di una struttura prossima ai centri abitati e non collocata nel ‘nulla’?
Quanto alla proiezione nelle scuole, lascia perplessi che sia prevista la distribuzione in tutte le scuole elementari e medie della provincia di Catania, con un formato ridotto per i più piccoli (solo i 20 minuti della fiction), ma non si parli di proiezioni nelle scuole superiori, a ragazzi più critici e più difficilmente influenzabili.
Che la trasparenza non sia massima lo confermerebbe la stessa conduzione della proiezione in anteprima. Niente dibattito. Niente domande. Solo una excusatio non petita da parte degli autori che si giustificano di fronte alle accuse di aver tracciato un’immagine troppo positiva del Cara dicendo che “solo le brutte notizie fanno strada”, e che “i piccoli incidenti negativi non devono nascondere le cose buone”.
L’immagine chiave di questo film, quella in cui i due bambini sono seduti l’uno di fronte all’altro, trasmette un messaggio positivo e ribalta l’idea di integrazione. E’ infatti il bambino nero ad accogliere il bambino bianco nella propria casa, presso di sé. Un’accoglienza non certo praticabile all’interno del Cara così come realmente è.
Per il resto, dopo aver visto il filmato, non riusciamo a vedere per quali pregi questo video sia stato scelto per essere proiettato nelle scuole.
Lascia perplessi anche la decisione della Fondazione integra, che lo ha prodotto, di farsi promotrice di una partita di calcio per raccogliere fondi da destinare alla costruzione di una comunità alloggio per minori non accompagnati che abbia “le stesse condizioni di benessere in cui si vive a Mineo (sic!)”. Forse per far dimenticare che lo stesso Consorzio che sta dietro la Fondazione è stato escluso dal Cie di Lampedusa e accusato di aver trasformato l’accoglienza dei migranti in un business?

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