I paradossi, più che gli esami, a Catania non finiscono mai. Un parco archeologico che praticamente coincide con lo stesso centro storico della città ed è paragonabile, fatte le dovute proporzioni, solo a quello che può vantare Roma, fino a un anno fa rischiava di essere cancellato. Anche la sovrintendente dell’epoca, che avrebbe dovuto difenderlo, aveva espresso parere favorevole alla sua soppressione come ente autonomo.
Oggi la sua direttrice Maria Grazia Branciforti, dopo la pubblicazione ufficiale della perimetrazione, può finalmente affermare che il parco è ad un passo dalla definitiva resurrezione.
Manca solo il decreto d’istituzione formale che ne sancirà anche l’autonomia economica e finanziaria e che consentirà di gestire direttamente gli introiti che riuscirà a produrre senza passare dalla burocrazia regionale, cui finora era costretto a versare tutto, ricevendone in cambio briciole.
Comprenderà una zona A, contenente i monumenti in senso stretto, e una zona B di rispetto, che – di fatto- coincide con il perimetro della città storica, intrecciandosi in modo inestricabile al tardo barocco già dichiarato dall’Unesco bene culturale dell’umanità e alle tante sopravvivenze della Catania medievale, come il castello Ursino e i numerosi frammenti della cinta muraria detta di Carlo V, tanto per fare un esempio.
L’elenco dei monumenti che entrano a farne parte è di tutto rilievo: il Teatro romano e l’Odeon in via Vittorio Emanuele, l’Anfiteatro romano di piazza Stesicoro, le Terme della Rotonda, dell’Indirizzo e quelle Achilleane sotto piazza Duomo, le necropoli sparse e l’Ipogeo romano nella via omonima, il decumano e la grande Domus romana che sono stati portati alla luce all’interno del Monastero dei Benedettini.
La sua istituzione si colloca, fra l’altro, all’interno di una fase di grande effervescenza di buone intenzioni e, speriamo, anche di proficua progettualità nei confronti dei beni artistici e culturali.
Quasi contestualmente, infatti, è stato firmato a Palermo un Protocollo d’intesa con l’Associazione delle Città d’Arte e Cultura (CIDAC), che associa le principali città d’arte del nostro Paese, per promuovere le attività di valorizzazione delle città d’arte siciliane e, con ancora più ampio battage pubblicitario, è stato lanciato il progetto del Distretto del Sud–Est, che dovrebbe avere fra i suoi obiettivi forti proprio il coordinamento di tutte le iniziative volte allo sviluppo delle enormi potenzialità turistiche insite in questo territorio.
Ma c’è un altro aspetto molto interessante e poco sottolineato dalle cronache. La perimetrazione è infatti accompagnata da un regolamento che detta norme anche per tutte le attività edilizie che dovessero ricadere all’interno della sua area e, non a caso, sono state inserite, almeno in parte, in quel Regolamento edilizio che sta per essere varato dal Comune di Catania e che non è esente dal destare qualche perplessità.
Dentro il perimetro del Parco, infatti, non sarà possibile attuare interventi di demolizione e ricostruzione, ma soltanto di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro conservativo e ristrutturazione e sempre con gli imprescindibili permessi della Sovrintendenza, specie quando si dovrà procedere all’effettuazione di scavi o comunque interventi al di sotto del piano stradale.
In tal senso, l’istituzione del Parco non concorrerà solo al rilancio della valorizzazione turistica del centro storico della città, ma metterà in mano alla Sovrintendenza uno strumento forte per governare –contro il pericolo di possibili libertinaggi- la rinnovata attenzione che l’imprenditoria edile sta mostrando verso i centri storici.
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Io non ho ancora capito se la sovrintendenza esprima desideri o volontà riguardo la gestione del territorio di competenza, così come accadde nell’area della Purità negli anni 2000 e che tanto pathos ha generato in ognuno di noi, con l’unico rammarico di non aver potuto far bloccare i lavori (illeciti secondo la ricostruzione normativa)in tempo per salvare le sedimentazioni esistenti (geologiche ed archeologiche).
Nuove prospettive e speranze per noi cittadini animati solo dall’amor locis? sarebbe, finalmente, una carezza sulle decine di frustate subite fino ad oggi! E che divenisse chiaro il semplice concetto che il patrimonio archeo-storico non è proprietà del sovrintendente, ma dei cittadini tutti (quelli che non mirano alla loro distruzione per costruirci sopra un chiosco di bibite o altro).
bravo professore dieci e lode