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Piazza Sciascia, prima e dopo – si fa per dire – la 'cura'

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Le ruspe sono oggi al lavoro là dove tredici anni fa era stata realizzata una bella piazza affacciata sul mare e ricca di verde. I catanesi non ne conoscevano forse nemmeno il nome, ma godevano dell’opportunità di passeggiare in un contesto incantevole. Era piazza Sciascia, il prolungamento di piazza Europa al di là del viale Ruggero di Lauria.
Proponiamo oggi ai nostri concittadini catanesi, spesso di memoria corta, alcune immagini fotografiche che testimoniano quale fosse il volto di quella piazza nel periodo successivo all’inaugurazione, fatta nel marzo 1997 dall’allora sindaco Bianco. Dopo appena un paio d’anni sarebbe stata consegnata da Umberto Scapagnini a chi, per interesse, intendeva realizzare botteghe e parcheggi sotterranei, contrabbandati come necessari per una città che avrebbe innanzi tutto bisogno di spazi aperti e di verde.

Il processo ormai concluso da una sentenza assolutoria per la ditta di Virlinzi, Parcheggio Europa spa, ha fatto ripartire i lavori, bloccati per anni, e tra non molto vedremo quale sarà il nuovo volto della piazzetta intitolata a Leonardo Sciascia.
Attendiamo con timore e tremore, reduci dalla cocente delusione determinata dallo scempio a cui è stata sottoposta quella che fu piazza Europa, ormai ridotta a un buco circondato da vialetti e striscioline di piantine e fiori rinsecchiti, mentre i pochi alberi ad alto fusto sono ‘costretti’ in fioriere che non possono certo offrire lo spessore di terra necessario al loro sviluppo.
Sulla base di quello che è possibile vedere dei lavori in corso all’interno del cantiere, al posto della vecchia e godibile piazza Sciascia, avremo un altro foro per permettere alle automobili di riemergere dai parcheggi e alle botteghe sotterranee di prendere luce. Degli alberi ad alto fusto, per ora ‘tabula rasa’.
Riandando con la mente a quel lontano (ma non tropo) 1997, ricordiamo che, per rendere più gradevole e più fruibile dai cittadini lo spiazzo piuttosto spoglio che chiudeva -con l’affaccio sul mare- l’elegante Corso Italia, il Comune chiese agli architetti del proprio ufficio Lavori Pubblici di preparare un progetto di ‘miglioramento’ che non gravasse troppo sulle casse dell’amministrazione.
La richiesta fu soddisfatta senza bisogno di consulenze e di incarichi esterni.
Trattandosi di un piazzale non roccioso e costituito prevalentemente da materiale di riporto, venne previsto innanzi tutto l’arricchimento dello strato di terra su cui già cresceva, faticosamente, un filare di palme. Quelle collocate alle due estremità, trovando finalmente l’opportuno spessore di terra, ebbero subito una sensibile ripresa e nel contempo furono aggiunte nuove essenze arboree: washingtonie, altri tipi di palme, tamarischi, lagunarie, un bel tappeto erboso ed arbusti appartenenti a varie famiglie.

La realizzazione fu affidata alla ditta Sicilverde di Aci San’Antonio, che si occupò anche dei lavori edili e firmò l’attuazione dell’opera all’interno di una tabella, esposta sulla piazza, che conteneva la ‘legenda’ con i nomi scientifici degli alberi e l’indicazione della loro collocazione, una sorta di piccolo ‘inventario’ botanico ad uso e consumo non solo dei ragazzi ma anche degli adulti distratti e non educati alla conoscenza e all’apprezzamento del verde.
Quanto agli arredi e ai giochi per bambini furono in parte realizzati con contributi offerti da privati, tra cui l’Istituto San Paolo di Torino. Per lavorare in economia, fu utilizzato anche materiale preesistente, come nel caso dei cordoli dei tre gradoni che costituivano il piazzale, rimodellati a mano con lo scalpello perchè seguissero un andamento curvilineo
Il costo complessivo, di circa 300.000 milioni di vecchie lire, fu molto contenuto. Pur trattandosi di una spesa modesta, si trattava comunque di soldi pubblici e la distruzione dell’opera, non certo dettata da esigenze collettive, ha comportato la perdita e lo spreco di questa somma. Se poi pensiamo alla cifra che oggi sarebbe necessaria per ripristinare il piacevole contesto verde di allora, la somma di cui dovremmo piangere lo sperpero diventerebbe ben più alta.
Ma lasciamo adesso la parola alle immagini e cerchiamo di imparare la lezione: abbandonare le cose semplici ma belle di cui siamo circondati, tanto più se appena realizzate utilizzando le competenze interne all’amministrazione stessa, è non solo segno di inciviltà ma anche di autolesionismo.
Dovrebbe ricordarlo anche Enzo Bianco che forse si appresta ad una nuova inugurazione di segno ben diverso.

5 Comments

  1. c’è solo da augurare che le iniiative commerciali falliscano e mandino a carte quaranotto le attività speculative che si dovessero insediare in quel sito. E’ in fondo lo stesso esito che si sta verificando per le attività commerciali insediate nell’edificio della nuova Dogana. La sottrazione del godimento di beni pubblici non dovrebbe compensare gli autori del misfatto.Il cittadino dovrebbe capire che nei vani realizzati nel sottosuolo della piazza , peraltro contigui al mare ed esposti ad eventuali mareggiate, non si possono allogare attività commerciali che richiedono misure di sicurezza collettive. Dove stanno gli ispettorati del lavoro? E poi mi chiedo: è mai possibile che si discute tanto di beni comuni, di beni pubblici, di beni demaniali ed assistiamo solo alle demolizioni delle catepecchie dei poveri edificate nelle spiagge dei poveri mentre nelle piazze e negli spazi vicini al mare , appetiti dai cummenda, ci tocca assistere al rito della ” donazione”? E il buon Giarrizzo che predica sul buon uso del territorio , rimanga a guardare alla spartizione delle fogne del sottosuolo? Perchè non alza la sua voce di grande ed illuminato vecchio per allontanare i predoni che hanno messo le mani sulla città ?

  2. cosa fa il prof. LICANDRO ORAZIO ASSESSORE ALLA BELLEZZA CONDIVISA? E’ lui che deve intrevenire e bloccare la devastazione della città. Dove sta pascolando?

  3. ogni giorno sulla Sicilia nella pagina dedicata ai lettori non mancano lettere di angustiati cittadini che lamentano la perdita delle coste e cioè scogliere e spiagge. Sono, nella sostanza, lettere inutili e vane perchè rispondono solo quei sindaci che vorrebbero allontanare i sospetti di aver concesso ai privati più del dovuto. Bianco o il nostro assessore alla Bellezza con- divisa tacciono.Cosa attendono per dare seguito alle critiche? Aspettano forse l’apertura di negozi di lusso destinati ad aver sede nelle catacombe di piazza Europa? Ma non sarebbe venuto il tempo di fare fallire simili iniziative come ad esempio sta avvenendo nel mostruoso edificio della Nuova Dogana?

  4. Tutte le concessioni sui beni pubblici sono revocabili e modificabili per contrasto con le esigenze pubbliche di godimento dei beni demaniali. Chi ha mai detto che la concessione una volta accordata nojn si può revocare. Quando essa cade su un bene demaniale è sempre revocabile. Cosa fa il nostro buon Licandro Orazio? Dove pascola? Quale tipo di diritto pubblico ha studiato?

  5. A Catania vengono sfidate tutte le leggi che, altrove, trovano applicazione nel rispetto dell’interesse collettivo ed il concetto stesso di proprietà privata diventa assoluto quando ha, in realtà il solo valore “convenzionale”. Tale diritto di proprietà non può essere considerato lecito nel momento in cui, con procedimenti spesso poco ponderati, l’amministrazione pubblica cede parti della proprietà collettiva eludendo il principio del bene non disponibile.
    la sfida alle regole che a Catania vedrebbe soccombere anche quella relativa alla forza di gravità, ha poi un risvolto pratico che ne dimostra la assoluta inutilità e l’unica finalità speculatoria; se si va ad esaminare l’esito dei grandi processi di “trasformazione”, ci si accorge che nulla è in realtà remunerativo; non lo è stata la Vecchia Dogana e non lo sarà la nuova “Buca Europa”. Andrei anche oltre questa riflessione dicendo che a Catania, con il massimo “provincialismo” vengono implementate soluzioni provenienti da altre realtà economiche, sociali e culturali; come se imitando un luogo ricco, si ottenesse anche una automatica immigrazione di ricchezza.

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