Vaticano II, gli Ebrei non hanno ucciso Dio

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Roncalli delegato apostolico in Turchia
“Preghiamo anche per i perfidi Giudei; affinché il Signor Dio nostro tolga il velo dai loro cuori; onde anch’essi riconoscano Gesù Cristo Signor nostro.” Fino al 1959 questa preghiera, che si radicava nell’accusa di deicidio rivolta agli Ebrei, veniva recitata nel corso della liturgia del Venerdì santo.
Fu papa Giovanni XXIII che, nelle celebrazioni di quell’anno, dispose l’abolizione dell’aggettivo ‘perfidi’, rispondendo positivamente alle richieste che provenivano anche dall’interno del mondo cattolico.
Era il primo passo di una cammino che, nel breve volgere di pochi anni, avrebbe completamente modificato la qualità delle relazioni fra cattolici ed ebrei, fino al pieno riconoscimento del patrimonio spirituale che è comune a entrambe le religioni.
Di questo e, più in generale, delle relazioni della Chiesa cattolica con le altre religioni non cristiane, si è trattato nell’ultimo degli incontri sulla storia del concilio che don Ruggieri ha proposto al Crocifisso della Buona morte di Catania.
Fu infatti il Concilio Vaticano II, con la dichiarazioneNostra Aetate‘ sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, che mise in evidenza i doni speciali ricevuti dal popolo di Israele, in particolare l’elezione divina, escluse la responsabilità collettiva degli ebrei per la morte di Gesù e condannò ogni forma di antisemitismo.
Il documento, inoltre, intendeva raccomandare e promuovere un fraterno dialogo e la reciproca conoscenza anche attraverso gli studi biblici e teologici.
Ma, cosa aveva spinto papa Giovanni ad affidare al card Bea, capo del Segretariato per l’unità, il difficile compito di ricostruire su basi del tutto nuove il rapporto fra cattolici ed ebrei?
Innanzitutto la storia personale del Roncalli diplomatico che, durante gli anni del secondo conflitto mondiale, era stato delegato apostolico in Turchia, in un territorio, cioè, che per gli ebrei in fuga dalla persecuzione nazista costituiva la porta d’accesso verso la salvezza.
Il futuro pontefice interpretava infatti il suo ruolo non in funzione dell’equidistanza diplomatica ma a partire dall’essere ‘un vescovo della chiesa del Signore’.
A Istanbul aveva preso coscienza del problema ebraico e nell’Epifania del 1939 aveva pronunciato un’importante omelia, con la quale si schierava apertamente contro le persecuzioni razziali che stavano dilagando in Germania. E’ noto poi come Roncalli si sia adoperato personalmente per favorire la fuga verso la Palestina di molti ebrei
Jules Isaac

Divenuto papa, un ulteriore e decisivo passaggio che fece maturare definitivamente le sue convinzioni a favore degli Ebrei fu l’incontro con l’ebreo Jules Isaac, autore di un famoso saggio dal titolo ‘Jésus et Israël‘.
In esso Isaac si era chiesto: come è stata possibile la Shoah nell’Europa da secoli cristiana? La sua sconvolgente scoperta fu che l’insegnamento del disprezzo, capillarmente diffuso per secoli e che aveva il suo culmine nel mito del popolo deicida, aveva contribuito a preparare e rendere possibile la distruzione degli Ebrei d’Europa.
Egli si propose, allora, di dimostrare i profondi legami che intercorrevano fra Gesù e la sua appartenenza al popolo ebraico e di negare che gli Ebrei, nella loro totalità, fossero responsabili della sua morte.
Per queste e altre argomentazioni, Isaac concludeva che fosse necessaria una radicale riforma dell’insegnamento cristiano.
L’incontro con Giovanni XXIII avvenne il 13 giugno 1960. A conclusione di esso, Isaac consegnò al Papa un dossier, chiedendo se poteva nutrire qualche speranza. «Vous avez droit à plus que de l’espoir» fu la risposta del Papa, cui fece seguito la decisione di affidare l’incarico al cardinale Bea.
Per la rilevanza anche storica dell’argomento, non è difficile immaginare che la redazione del documento conciliare dovette superare resistenze fortissime. Fu soprattutto il cardinale Cicognani, Segretario di Stato, che condusse l’opposizione al progetto, adducendo lo spettro delle reazioni dei governi arabi.
Molti vescovi orientali, infatti, timorosi delle reazioni dei governi arabi nei confronti delle minoranze cristiane che vivevano sul loro territorio, per iscritto proposero che il tema fosse escluso dai lavori conciliari e che in ogni caso, se si parlava dell’ebraismo, era necessario parlare anche delle altre religioni non cristiane.
La commissione di coordinamento che presiedeva ai lavori conciliari accettò questa proposta, ma al tempo stesso chiese che venisse evitato qualsiasi accenno alla modifica dell’accusa di deicidio al popolo ebraico.
Bea non si piegò al diktat e, dopo un lungo braccio di ferro, riuscì a far approvare un testo che rinunciava alla condanna dell’accusa di deicidio e, in maniera positiva, affermava che “se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo.”

Il testo fu approvato con 1763 sì, 250 no e 10 voti nulli e da esso è iniziata una nuova storia connotata positivamente dal riconoscimento dei legami inscindibili fra le due religioni, felicemente condensata nell’espressione “nostri fratelli maggiori” che i recenti papi hanno adoperata per rivolgersi agli ebrei.
E’ all’interno di questo contesto che va collocata l’iniziativa di papa Giovanni Paolo II, di invitare gli esponenti delle religioni mondiali a pregare unitamente per la pace ad Assisi, il 26 ottobre 1986.
Esso non fu propriamente un colloquio fra le religioni, ma un incontro religioso fra le religioni nel corso del quale i rappresentanti delle religioni hanno pregato per la pace, contemporaneamente e nello stesso luogo, seguendo tuttavia i canoni, i riti e i contenuti della tradizione religiosa propria ad ognuno.
Quel gesto rimane a tutt’oggi unico. Ad Assisi i cristiani e gli esponenti delle altre religioni hanno comunicato in quanto di più intimo c’è nell’esperienza religiosa, la preghiera, lasciando tuttavia intatta la differenza delle loro preghiere. La differenza religiosa è stata “celebrata” in comune come prassi di pace.
Per qualcuno si è trattato di un inizio molto timido. Ma la forza dell’inizio non è in primo luogo che esso sia timido o coraggioso, ma che esso sia effettivamente un inizio.

3 Comments

  1. E’ utile leggere questi articoli, specie per chi non abbia una grande dimestichezza con la storia della Chiesa e della filosofia in generale: servono a far capire quanto sia stata difficile la strada verso la tolleranza e il superamento del fondamentalismo religioso (che oggi si attribuisce solo agli islamici). Si scopre così che SOLO col Concilio Vaticano II si condannò ogni forma di antisemitismo (e di intolleranza religiosa); e siamo nel 1965. Così si capisce anche che prima di quella data NON erano state condannate da parte della Chiesa cattolica le forme di antisemitismo e di intolleranza religiosa. Coloro che oggi da quella sponda sono tanto prodighi di ammaestramenti morali indirizzati al mondo laico, non dovrebbero dimenticare quanta fatica ha fatto la propria religione per riconoscere principi che l’illuminismo dei laici aveva proclamato due secoli prima, tra gli anatemi delle gerarchie ecclesiastiche, e che erano stati alla base della tolleranza pagana verso tutte le religioni, distrutta dall’affermazione del cristianesimo istituzionale con Costantino e Teodosio. Sarebbe un doveroso bagno di umiltà, da esercitarsi anche nei confronti dei tanti “principi non negoziabili” che oggi vengono proposti con altrettanta dogmatica certezza di quella a suo tempo esibita nel condannare i “perfidi Giudei”.

  2. il fatto che i rappresentanti delle varie religioni abbiano pregato in vari luoghi della città di Assisi per la pace non mi pare affatto significativo, non è comunque preghiera comunitaria: in tutte le città del mondo si prega giornalmente in moschee, sinagoghe e chiese di varie confessioni… la preghiera comunitaria è altra cosa, non dovrebbe avvenire in luoghi tempi e modi diversi e… pazienza per le differenze!

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