Dopo Venezia, dove ha aperto la sezione Controcampo ottenendo 10 minuti di applausi, Catania. All’Odeon prima che nelle altre sale cinematografiche italiane. E’ il nuovo film di Roberta Torre, regista milanese per nascita ma siciliana d’elezione, che racconta il bisogno di soprannaturale da parte di emarginati e lo sfruttamento di questa necessità da parte di poteri e istituzioni, la politica, la Chiesa, la famiglia.
A Librino, periferia difficile di Catania, vive una ragazzina, Manuela (l’esordiente Carla Marchese) con la famiglia, la madre Rita, ex miss di borgata (la bravissima Donatella Finocchiaro), il padre disoccupato, frustrato e assente (Beppe Fiorello), la sorella, una sorta di Paris Hilton dei poveri. Non c’è amore in quella casa ma solo urli, disgregazione e violenza. La ragazzina lavora da una parru-fattucchiera (la grande Piera Degli Esposti), tarocchi e messe in piega: “Sistemo la testa delle donne dentro e fuori”.
Un giorno Manuela, annoiata, inventa di aver visto in sogno la Madonna che le ha suggerito dove ritrovare la testa della statua a lei dedicata che tre balordi avevano decapitato la notte precedente con una pallonata. In realtà Manuela ha visto dalla finestra di casa sua i tre ragazzi giocare a pallone, danneggiare la statua di questa vergine, peraltro fisicamente dotata, e infine nasconderne i resti in un garage.
La storia monta e la ragazzina diventa agli occhi del quartiere una santa. Una teoria di poveri disgraziati che prima si rivolgeva alla maga, adesso, va a bussare alla sua porta, chiedendole di intercedere per ottenere grazie: chi vuole trovare lavoro, chi sfondare nel mondo dello spettacolo, chi trovare l’amore di una donna; chi aspira soltanto alla vittoria della squadra di calcio (tra i questuanti, autentica rivelazione, una inedita Lucia Sardo in versione comica).
Rita sfrutta il “dono” della figlia, ottenendo fiori, doni, denaro e organizza un vero e proprio business vendendo santini e gadget con le immagini della piccola santa. A trovare Manuela vanno politici e alti prelati. Ci va anche una ragazza che ha perso la vista in seguito ad una forte emozione negativa. E’ l’unica a non credere. La cieca “vede”, riconosce la truffa e in un incontro a quattr’occhi con la ragazzina glielo dice apertamente. Tra le due si stabilisce un rapporto autentico e paritario, un forte contatto. Nessuna delle due mente all’altra.
La cieca riacquisterà la vista ma la Torre non denuncia il miracolo. Potrebbe averla riacquistata per caso o per una seconda emozione, stavolta positiva, scaturita da una sorta di transfert stabilito nel corso dei colloqui con Manuela, per affettività e empatia.
Il finale è aperto e diversamente interpretabile tanto da fare ottenere al film il Premio Brian, messo in palio dall’Unione degli Atei e degli Agnostici razionalisti. Ma il miracolo c’è.
Avviene quando la madre si accorge che tutto il mondo di piacere e affari che ha creato si sbriciola miseramente. Così smette il look e il trucco da icona di volgarità (La Torre si è ispirata a Simona Ventura e a Loris Del Santo) e fa la mamma. E’ in quell’abbraccio e in quei baci, finalmente dati a Manuela, il vero miracolo.
Lo stile del racconto è quello ridondante, grottesco e barocco di “Tano da morire”, tra pop e video art; collage eccentrico di immagini singhiozzanti, colori accesi e recitazione sempre sopra le righe, purtroppo non sorretta da una buona sceneggiatura.
Tano da morire, però, era un innovativo musical alla siciliana; questo film invece aspira ad altro. In qualche inquadratura, la Torre sembra voler citare Almodovar o addirittura Fellini, senza, naturalmente, nemmeno sfiorarne la grandezza. Così convince poco l’andamento schizoide e altalenante tra i registri drammatico e comico per nulla amalgamati.
Un film nato da una bella l’idea male esplicitata, pieno di potenzialità inespresse. E quando scorrono i titoli di coda, sui quali ascoltiamo il bellissimo brano “Oltre” della giovane cantante pugliese Erica Mou, rimpiangiamo “Angela”, il film precedente, meno velleitario e più preciso nella costruzione di storia e personaggi.
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Scusatemi, da quando si parla della musica dei titoli di coda tralasciando la colonna sonora?
Ma a chi interessa che tale Erika Mou ha fatto la musica dei titoli??
Sono tante le cose che non abbiamo citato nel post. Una critica, naturalmente, è una visione di parte e parziale dell’evento di cui si parla e non vuol essere esaustiva del tutto. Non vuol essere insomma una scheda, un elenco che escluda la visione di chi scrive. Abbiamo apprezzato quella canzone e lo abbiamo scritto. Punto. Erika Mou, che non conoscevamo prima e che ci è piaciuta, non ha fatto la musica dei titoli di coda; canta soltanto la canzone che nel montaggio del film è stata abbinata ai titoli di coda.