Non è facile comprendere cosa accade a Catania durante la festa di S.Agata. Le componenti di questa festa sono molteplici: la devozione autentica degli umili, la religione civica di una città con l’esibizione dei rappresentanti del potere che cercano di misurare la loro popolarità, il simbolismo dell’eterno femminino con i segni della femminilità fragile e violata (dove nell’immaginario popolare scompare persino il motivo vero del martirio), la volgarità e il fascino folcloristico delle candelore (le cui musichette sono più adatte a figure femminili ben diverse da quella di una martire vergine), l’esibizione della forza dei vari portatori, l’intreccio di losche scommesse nel sottobosco mafioso che coglie – in maniera parallela all’esibizione del potere civile – un’occasione per dar prova di sé.
La chiesa non riesce a controllare da parte sua che una parte soltanto dell’happening collettivo e cerca debolmente di inserirvi momenti veramente religiosi. Ma soprattutto la festa è il simbolo del degrado e delle contraddizioni della città stessa, incapace di far convergere tutte le sue energie in un progetto di convivenza ordinato.
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