Doveva essere una festa e certamente lo è stata. Soprattutto per i bambini, anche molto piccoli, che hanno potuto giocare sulla pista gialla di Spazio Clatù, mentre fratellini e amichetti appena più grandi sperimentavano gli attrezzi da circo proposti dagli animatori dell’associazione. A poca distanza, ragazzi bianchi e neri si rimandavano un pallone insieme ai giocatori della San Berillo Calcio ASD, mentre – in cima alle scale – i musicanti facevano risuonare voce e strumenti e, ai piedi delle scale, si vendevano pomodori, peperoni e melanzane della Cooperativa Agricola Dokulaa, profumati al basilico.

Avrete già capito che parliamo del secondo mercatino, “Insieme per San Berillo”, organizzato in piazza Falcone dall’Osservatorio Urbano e Laboratorio Politico, e che le scale sono quelle della Chiesa del Crocifisso delle buona Morte, dove con Pippo Gliozzo parroco e adesso con Piero Belluso, che ne ha raccolto il testimone, la contaminazione tra razze, religioni e ceti sociali è stata, ed è, giornalmente vissuta e incoraggiata.
I banchetti di autofinanziamento del Centro Astalli, della Casa della Mercede, di Mani Tese e di altre associazioni, da Penelope a Fieri, esponendo tessuti, vasetti, oggetti colorati, hanno contribuito al clima festoso. E intanto i medici di ‘Un battito e un respiro’ e di ‘Italian Help Sistem for Life’ effettuavano screening sanitari a chi lo chiedeva, come avviene nelle Piazze della Salute. E (non stupitevi…) erano soprattutto i giovani a chiederlo.
L’allegria di questo tranquillo e caldo pomeriggio di fine settimana ha avuto, tuttavia, un contraltare doloroso. Sono stati i disegni dei bambini di Gaza, già in mostra alla CGIL, che rappresentano non solo bombe e carri armati ma anche quotidianità e bellezza, per lo più perdute. Chi voleva, poteva scegliere e acquistare una delle riproduzioni in cartolina o prenotare la copia ingrandita del disegno prescelto.
Ma nessuno poteva eludere, dentro di sé, “la” domanda inquietante. Come fare festa se accade tutto questo? Se bambini innocenti muoiono sotto le bombe, per fame, per mancanza di famaci e attrezzature mediche? E se questa furia devastatrice non si ferma ma si allarga ad altri fronti?

Come fare festa se incombe la minaccia di una guerra globale? E se in mare continuano a morire i migranti che cercano di attraversarlo, come domenica ci ha ricordato nel cortile della CGIL, l’evento (The Game) organizzato dal Centro Astalli in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato?
Nessuno ha cercato di scansare queste domande. Neanche gli organizzatori del mercatino di sabato, tanto è vero che le ha espresse in modo chiaro, già nella lettera di invito, Nino Bellia, docente, artista e animatore delle iniziative dell’Osservatorio insieme ad altri amici attivi e generosi delle associazioni che ne fanno parte, tra cui la garbatissima e ferma Elvira Brancè, e la giovane e appassionata Anna Bellia.
Ha provato a rispondere, Nino. Così.
“Festa, sì. Se festa significa ridisegnare e rilanciare l’aquilone dell’utopia, la più potente e perforante delle bombe perforanti, la più deflagrante e radioattiva di qualsiasi atomica… Offrire un’opportunità di resilienza al dolore e alla morte decisi a tavolino, con lungimiranza criminale, dai serial killers delle Nazioni che contano. Festa, sì, se festa significa ostinata dichiarazione di bellezza e di fiducia in questa vita, la vita che ci fu data e che nessuno può toglierci, e nell’umanità, nell’essenza profonda della nostra umanità. Se festa significa incontrarsi e conoscersi, in amicizia, in pace e in Pace. E se festa significa continuare a sperare contro ogni speranza…che festa sia!”
