Nell’ottobre del 2019, a parziale pagamento delle somme dovute, La Sicilcassa ha proposto alla Regione Siciliana la cessione dell’area di Cibali destinata a Centro Direzionale.
Il termine tecnico è datio in solutum, la sostanza è che la Regione avrebbe visto saldato, in parte, il proprio credito, e che la Sicilcassa si sarebbe liberata del debito e anche dei terreni che sono tuttora al centro di una ingarbugliata matassa.
La proposta non ebbe seguito, e la città perse un’occasione per avere il grande parco urbano che permetterebbe ai suoi cittadini di vivere meglio e che potrebbe soddisfare gli standard di verde pubblico previsti dalla legge.
Su questa proposta abbiamo a disposizione un documento dell’Ufficio Legale della Regione, che esprime un parere sulla fattibilità della transazione. Ed è un parere sostanzialmente positivo.
Non esistono divieti, in linea teorica, alla datio in solutum – scrivono gli avvocati – ma solo la necessità che il creditore consenta alla proposta e ci sia quindi un accordo tra le parti.
L’Ufficio richiama comunque l’Amministrazione a fare una “attenta e rigorosa valutazione”, sulla congruità della transazione, sulla sua effettiva realizzabilità, sulle conseguenze negli equilibri di bilancio e via discorrendo. Ma conclude sottolineando che gli “aspetti di merito” esulano dalle competenze dell’Ufficio Legale e sono rimesse alla discrezionalità dell’Amministrazione”. Vale a dire che la decisione finale compete solo alla Regione, che deve agire “ai fini del perseguimento dell’interesse pubblico”.
A pag 2 del documento si evidenzia che l’acquisizione di quel bene “consentirebbe alla Regione di istituire il più importante parco della città”. C’era, quindi, la consapevolezza dell’importanza di questa proposta e delle ricadute positive che avrebbe avuto sulla città. Eppure la cosa non ebbe seguito, nonostante che il presidente della Regione fosse, in quell’anno, il catanese Nello Musumeci.
Non potrebbe oggi la Regione tornare sui suoi passi e riconsiderare positivamente questa proposta?
Se lo chiedono, in una Lettera aperta del 31 marzo2025, l’architetto Aurelio Cantone e l’ingegnere Pippo Rannisi, figure di spicco dell’urbanistica cittadina e della difesa del verde.
Ben sapendo che difficilmente ciò avverrà, i firmatari della lettera prospettano altre ipotesi che permetterebbero di recuperare questo spazio come bene comune cittadino.
L’Amministrazione potrebbe, ad esempio, chiedere un finanziamento a fondo perduto (alla Regione o allo Stato) per acquistare l’area al prezzo, ormai stracciato, richiesto dai commissari liquidatori. O potrebbe chiedere la cessione dell’area, ad un prezzo simbolico, a chi di quest’area ha la vigilanza, la Banca d’Italia. Senza escludere che, ad acquistarla, possa essere la Città Metropolitana, che non è in dissesto, con fondi propri.
Di recente è intervenuto un altro fattore, il vincolo proposto dalla Soprintendenza che impedisce, su più di metà dell’area, qualunque operazione speculativa.
Vedremo se il Comune presenterà delle osservazioni per contrastare questa proposta di vincolo, come sembra probabile dalle dichiarazioni fatte dal vicesindaco e assessore all’Urbanistica.
Nel 2023, in una porzione dell’area di Cibali di cui ci stiamo occupando, la Giunta – su proposta della Direzione Famiglia e Politiche sociali – ha approvato uno schema di convenzione con una società privata, Fabrica Immobiliare, per realizzare alloggi sociali con risorse finanziarie messe a disposizione dalla Regione Siciliana.
L’intervento, definito di “social housing”, non prevede alcuna garanzia per le fasce sociali deboli che potrebbero aspirare a questi alloggi, a dimostrazione del fatto che la denominazione è solo una copertura per giustificare l’utilizzo di soldi pubblici in una operazione immobiliare privata.
Non solo. Questa convenzione non sembra avere i crismi della legalità. Essendo di natura urbanistica, doveva essere approvata non dalla Giunta ma dal Consiglio Comunale, al quale competono le decisioni in ambito urbanistico. E il Consiglio avrebbe dovuto, innanzi tutto, approvare una variante rispetto alla destinazione d’uso prevista dal Piano Regolatore, oltre che un piano particolareggiato per l’intera area.
La domanda che sorge spontanea è se l’Amministrazione intenda applicare questo modello ‘disinvolto’, sia nel merito sia nel metodo, a tutta quella parte dell’area non protetta dal massimo vincolo di tutela. Ancora una volta, invece dell’interesse pubblico, si favorirebbero i privati, sottraendo alla città un ulteriore bene comune.
Ci auguriamo che il Comune non segua le orme segnate dalla Regione nel 2019, e si impegni per dare alla città il parco urbano che le è necessario e che i cittadini chiedono ormai a gran voce.
(l’area, dopo lo scerbamento anti-incendio, in una foto di Filippo Timpanaro)
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