I temi caldi più attuali ci sono quasi tutti, la disabilità grave, la violenza sulle donne, nelle due forme dell’abuso in famiglia e della brutalità del partner geloso o respinto, il tradimento del coniuge, la scoperta di una malattia in fase terminale. Li troviamo nelle pagine del romanzo “Come una pianta che spacca il cemento” (Mursia ed.) di Antonella Carta, scrittrice e docente in un liceo cittadino.

C’è anche l’eredità lasciata dalla scuola ai suoi personaggi, che sono gli studenti del romanzo precedente, “Come nuvole di cotone”, ormai cresciuti e alle prese con studi universitari e mondo del lavoro.

La scuola non è quindi più in primo piano, con le sue luci e le sue ombre, ma nei protagonisti riecheggiano ancora le indicazioni di vita ricevute dalle insegnanti più attente e più vicine, così come sopravvive il ricordo dei comportamenti dei docenti meno empatici, di cui adesso, però, uno sguardo più adulto e un dialogo alla pari permette di comprendere le motivazioni.

Che il romanzo abbia un intento educativo è abbastanza palese, ma questo non lo rende meno vivace e coinvolgente, così come la gravità delle storie raccontate non comporta la creazione di un’atmosfera opprimente. I personaggi principali, segnati da vicende dolorose, non cadono mai nell’autocommiserazione, mantengono vivo il senso dell’ironia e non rinunciano ad esprimere reazioni istintive e anticonformiste.

E già questo è un messaggio fondamentale, i drammi personali di chi ci sta vicino richiedono una presenza attenta e un impegno attivo di solidarietà, non reazioni sdolcinate e compassionevoli. E per chi ci è più caro, generosità fino all’abnegazione come nel caso di Tullio, il fratello del protagonista. Ma soprattutto amore. e questo sboccia, comunque, senza regole e senza conformismi.

Quanto ai propri drammi, accettare i limiti che ne conseguono non significa rinunciare a far valere i propri desideri e le proprie aspirazioni. Così il Capitano non si adatta a fare il corso di programmatore suggerito dalla famiglia perchè gli offrirebbe più possibilità di lavoro a distanza, senza che debba fare i conti con la carrozzina e le barriere architettoniche. Vuole stare con gli altri, occuparsi di loro anche per lavoro, e ottiene di iscriversi all’università, in Sociologia e Servizio sociale. Ha già sperimentato di riuscire a dialogare anche con chi è problematico, chiuso nel suo mondo, “diverso”. E di motivare i “diversi” a fare squadra.

“La tua fortuna più grande – gli dice Chiara, protagonista femminile ed io narrante – è la tua famiglia”: in essa il Capitano ha trovato il supporto affettivo e materiale per non farsi schiacciare da una disabilità che gli ha tolto non solo la libertà di movimento ma anche la parola. E la famiglia ritorna con i suoi chiaro-scuri anche nella vita di Chiara che, dopo aver perduto il sostegno della sorella, annientata dal padre-orco, ne ritrova una solida e rassicurante negli zii.

Un altro tema delicato e complesso, insieme a quelli solo sfiorati della malattia mentale o dei rapporti omosessuali. Tutti trattati con la leggerezza di uno stile svelto, dialogico, ‘parlato’ e insieme raffinato, proprio di chi padroneggia bene la lingua e sa piegarla ai propri fini.

Nel complesso un messaggio di fiducia, di speranza, ma anche di responsabilità e di presa in carico dell’altro. Di cui bisogna prendersi cura, sempre. Che sia disabile o meno.

Argo

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  • Grazie infinite per questo meraviglioso articolo, cucito addosso alle pagine del romanzo con profonda sensibilità

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