“Ho letto un centinaio di pagine, non ho nemmeno finito il libro e
Prova nostalgia, Graziella Priulla, per le parole della politica che non esistono più e per una “sinistra antica” così lontana dall’attuale “sinistra – si fa per dire”. Parla di questo libro, nato in pochi mesi, di getto, nel dicembre del 2011, in un momento di grande imbarazzo per l’immagine che l’Italia di Berlusconi dava di sé nel mondo.
“Violare le parole è un delitto”, ha detto ancora il giornalista. “Per la società – sostiene, infatti, il libro – la lingua funziona come deposito collettivo delle idee, dei valori, dei giudizi che formuliamo su ciò che è buono e cattivo, giusto e ingiusto, lecito e illecito; costruisce i comportamenti a partire dal nostro ingresso nel mondo. In questo senso è un bene pubblico, condizione di sopravvivenza di una comunità, né più né meno come l’acqua”.
E tornano i sensi di colpa della stampa. “Medicare le parole presuppone che si dica la verità ai cittadini, che non si falsifichino le fonti, che non si inventino i dati. – ha concluso Danzuso – E in questo un ruolo fondamentale può averlo la mia categoria, quella dei giornalisti. Che però da sola non può farcela. Bisogna rifarsi all’articolo 2 della legge istitutiva dell’Ordine, quando si afferma che Giornalisti e editori sono tenuti … a promuovere … la fiducia tra la stampa e i lettori. Dobbiamo farlo per i giovani, per spiegar loro i rischi della manipolazione”.
Sì i giovani. “Come possono – ci si chiede in Riprendiamoci le parole – farlo da soli, se da quando sono nati hanno assistito al tradimento delle parole? Lo storpiamento ne rovescia il senso: in uno specchio capovolto la moralità degenera in
Leggi su Argo la recensione del libro di Graziella Priulla
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