Fu il cantore delle terre dimenticate, Sicilia, Sardegna, Calabria, dei mestieri abbandonati, dei volti della gente comune, in un melange di denuncia e poesia. Per la verità, adesso che è morto, lo riscoprono anche in Italia e le maggiori testate ne parlano. “Un architetto mancato che amava la cinepresa come strumento di indagine, detective di paesi poveri e reporter di uomini sfruttati” lo definisce Maurizio Porro su Il Corriere della sera.
Dell’ostracismo al quale è stato condannato tenta una spiegazione Cristina Piccino su Il Manifesto: “De Seta cerca di «provocare» chi guarda non di assecondarne le abitudini.
Vittorio De Seta – filmati su argocatania.org
Forse è per questo che il cinema italiano lo ha messo da parte”. E una spiegazione per la verità se la dà lo stesso regista quando afferma: «La verità è che il cinema è consolatorio e razionalizzante: giustifica. La gente vuole essere confortata, favoleggiata». Lui no, non rassicurava, non assolveva.
Ha dovuto lottare sempre, fino al 2006, quando la produzione tentò di bloccare il film Lettere dal Sahara. Vinse De Seta e riuscì a portare a Venezia l’odissea di un senegalese senza permesso di soggiorno accolto da una famiglia di Torino.
Palermitano, di famiglia aristocratica, si è spento a 88 anni in un paesino della Calabria, Sellia marina, dove da tempo abitava. Ma noi di Argo, il regista di Banditi a Orgosolo, premio opera prima a Venezia nel ’61, lo abbiamo ricordato prima che morisse con una serie di post e con i suoi documentari, quelli girati dal ’54 al ’59 e
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