Maria Giudice leonessa del socialismo

Sfogliando il libro di Maria Rosa Cutrufelli “Maria Giudice. La leonessa del socialismo” (Giulio Perrone, 2022), si susseguono, come in un vecchio album, foto sbiadite e consumate che raccontano le vicende della protagonista.

Delle otto foto che scandiscono gli otto capitoli solo la prima e l’ultima sono stampate, mentre le altre sono dettagliatamente descritte. La prima è una fototessera di Maria “il volto forte, squadrato… indossa una giacca dal taglio severo… è l’unica che la ritrae da sola senza il solito contorno di figli, operai in sciopero o compagni di partito”. Così ce la presenta l’autrice e così conosciamo il suo volto. L’ultima, invece, è una istantanea della figlia Goliarda con il padre Giuseppe Sapienza, mentre passeggiano in una bella giornata estiva a Roma.

Ma chi era Maria Giudice? Lo storico Vittorio Poma (“Una maestra tra i socialisti. L’itinerario politico di Maria Giudice”, LaTerza, 1991) ha detto che a torto Maria Giudice è stata considerata un personaggio minore. “Cannibalizzata dalla storia universale” è diventata invisibile e ai più sconosciuta, sebbene nel contesto storico del primo Novecento abbia avuto un ruolo fondamentale. Oppure, come fa notare Veronica Sicari, è stata schiacciata e compressa dentro il ruolo di madre di Goliarda Sapienza.

Il libro di Maria Rosa Cutrufelli ci restituisce, invece, un ritratto di donna con un vissuto esperienziale ricchissimo, quasi sovrabbondante. Con una forza narrativa non comune e sulla base di un lavoro rigoroso sulle fonti, il testo rende giustizia della vita e degli stati d’animo di Maria. Questi ultimi ricavati o dalle conversazioni con la figlia Goliarda, di cui Cutrufelli fu amica, o – come ricorda Vittorio Poma – dalla capacità di saper fare, nel romanzo storico, “le polpe al carcame della storia”, secondo l’espressione usata da Manzoni.

Maria studiò per diventare maestra elementare grazie alla libertà di vedute della famiglia d’origine, abbracciò la scuola del socialismo in un mondo dominato dagli uomini e cercò di far prevalere la sua visione di un socialismo egalitario e umanitario. Fu giornalista e diresse vari quotidiani socialisti, fu scrittrice abile e ingegnosa ma anche brava oratrice diretta e immediata. I molti comizi che tenne le costarono arresti e prigione, come testimoniano i tanti verbali delle varie prefetture d’Italia. Fu prima segretaria della Camera del Lavoro di Voghera (1903) e prima segretaria del Partito socialista. Quest’ultimo alla fine del 1919 le affidò un nuovo compito, propagandista in Sicilia. Una donna non comune, dunque.

Nell’introduzione l’autrice racconta come è nato questo lavoro su Giudice e perché. Ricorda una sera d’inverno del 1991 quando, con un gruppo di amiche scrittrici, del quale faceva parte anche Goliarda, discuteva sull’opportunità della guerra del Golfo. Goliarda dichiarò la “necessarietà” di alcune guerre, una posizione strana agli occhi di Cutrufelli che ricordava lo spirito antimilitarista e pacifista della madre, corente al punto da lasciare Carlo Civadi, il primo compagno dal quale aveva avuto sette figli, perché interventista e sostenitore di Mussolini.

Accanto al ruolo di militante socialista, libertaria, sindacalista, capopolo, Maria ebbe anche il ruolo di madre ( 7 figli avuti da Civadi e 3 da Peppino Sapienza).

Da dove viene questa ingordigia di maternità? si domanda Cutrufelli. E’ un rifugio, un modo di compensare una passione politica eccessiva in una donna? E’ l’ostentazione pubblica di una forza intima? L’autrice non sa darsi una risposta, confessa solo di aver attinto a piene mani al serbatoio della vita di Maria Giudice per raccontare la storia di due sorelle in un suo romanzo dal titolo “D’amore e d’odio”. Adesso vuole sdebitarsi con lei e raccontarla nella unicità della sua esistenza.

A proposito della maternità Maria Giudice si discosta dal socialismo che era per il controllo delle nascite, ma vi rientra quando si dichiara contraria all’istituto del matrimonio in nome della propria libertà e indipendenza da qualsiasi vincolo o costrizione. L’amore, dice, non può diventare un dovere e un obbligo, o peggio ancora una catena.

Vale la pena ricordare, commenta Cutrufelli, che a quei tempi una donna sposata era sottoposta alla potestà maritale. Vero è che Carlo Civadi era un “compagno”, ma Maria non si fidava troppo dei compagni e della scarsa considerazione che avevano nei confronti delle donne. “So che vi brucia quando ve lo diciamo, ma voi altri signori uomini siete così socialisti quando si tratta di voi, così poco socialisti quando si tratta di noi”.

Questa donna fuori dagli schemi non era, tuttavia, una femminista e, insieme alla socialista Angelica Balabanoff, criticava il femminismo borghese perché puzzava di filantropia: era il socialismo a predicare e praticare la liberazione economica e quella dalla subalternità al dominio maschile. A tal proposito, pur essendo una convinta pacifista, durante la prima guerra mondiale, quando le donne occupano i posti lasciati vuoti dagli uomini mandati al fronte, provocatoriamente diceva, “tu compagno sei contrariato e direi spaventato del fatto delle donne tranviere, io no… e trovo che se la guerra ci avesse fatto solo di questi regali non sarebbe poi tanto brutta”.

Maria era una donna concreta. Sapeva parlare alla gente, sia agli operai del Nord che occupavano le fabbriche, sia ai braccianti e ai contadini che occupavano i latifondi del Sud. Parlava di problemi concreti, reali, pratici e non di teoria: per questo alle critiche di Gramsci che l’accusava di banalizzare il dibattito rispondeva che la sua giovinezza era causa del suo astrattismo ideologico.

In Sicilia, dove approdò nel 1919, conobbe sia la violenza mafiosa sia quella strisciante del fascismo che stava diffondendosi. Qui si guadagnò il soprannome di ‘samaritana’ per la sua capacità di immedesimarsi nei problemi altrui.

Con l’avvento del fascismo, con la chiusura dei partiti, dei sindacati, dei giornali e in seguito al divieto di insegnare idee ritenute pericolose, Maria – fino ad allora impegnata a viaggiare, scrivere, fare comizi – entra in uno stato di depressione che la costringerà a soggiornare in una clinica psichiatrica, prima a Roma e poi a Catania. Ad assisterla, in questa ultima fase della sua vita, sarà Goliarda, divenuta partigiana e partecipe, anche insieme al padre, della liberazione di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat dal braccio tedesco del carcere di Regina Coeli.

Vivono insieme gli ultimi anni di vita, madre e figlia. “Si è scrollata la vita di dosso” dirà Goliarda alla morte della madre “proprio come una persona che si scrolli un peso dalle spalle .“

Di Maria Giudice, della sua vita sempre in prima linea nella difesa delle donne e dei lavoratori, ha parlato, qualche anno fa, Sara Fagone durante una manifestazione per la giornata internazionale della donna: Maria Giudice, la socialista intransigente madre di Goliarda

Argo

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  • Maria Giudice all’inizio degli anni 40 assieme alla famiglia si trasferì a Roma. Partecipò attivamente ai movimenti della resistenza nella capitale e alla Brigata “Vespri” coordinata dal marito – Giuseppe “ Peppino”Sapienza, conosciuto come “l’avvocato dei poveri”. Anche Goliarda Sapienza fu staffetta e partigiana combattente nella Brigata Vespri.

  • La scorsa primavera si è tenuto un grande e partecipatissimo convegno a Catania su Maria Giudice per l' intera giornata a partire dal libro di Maria Rosa Cutrufelli tra l' Aula Magna della facoltà di scienze politiche e la libreria Prampolini, al quale hanno partecipato storiche, studiose, giornaliste e attivista della politica delle donne. Convegno i cui atti sono stati trascritti e verranno pubblicati in un libro di recente uscita.

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