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Codice antimafia, indietro non si torni

L’intento dichiarato dal governo sembrava di alto profilo: ridurre ad unità tutte le norme antimafia che, nel tempo, si sono stratificate, armonizzandole. Qualcosa di simile al Corpus Iuris di Giustiniano… Parliamo della proposta di decreto legislativo sul Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione approvata dal Consiglio dei Ministri e che dovrà passare dal Parlamento per l’approvazione definitiva.
Qualcosa in questa proposta non va. Più di qualcosa. Molte cose. Ecco perchè un gruppo di associazioni e di “organizzazioni sociali e professionali”, che rappresentano settori diversi della società, con interessi e preoccupazioni molto differenti, ha deciso di rivolgere un appello al Governo e al Parlamento perchè la proposta venga modificata e integrata.
L’appello è stato sottoscritto dal Centro Pio La Torre, dall’Associazione Nazionale Magistrati, dall’Arci, da Articolo21, dalla CGIL, dalla Confindustria, dal Gruppo Abele, dalla Legacoop, da Libera associazioni, nomi e numeri contro le mafie.
Anche la convergenza di gruppi così diversi colpisce. E qualcosa vorrà dire.
Riportiamo alcune osservazioni provenienti da associazioni molto attive sul campo specifico dell’antimafia e della gestione dei beni confiscati.
La preoccupazione del Centro Pio La Torre è che la proposta governativa metta in soffitta la legge Rognoni-La Torre. “Con l’attuale decreto legislativo ritorna lo spauracchio della vendita dei beni confiscati e la rinuncia alla loro restituzione alla società” ha dichiarato Vito Lo Monaco, presidente del Centro, evidenziando anche il fatto che non vengano prese in considerazione nuove forme di reato come, ad esempio, l’autoriciclaggio.
Una posizione molto vicina a quella di Libera. Come afferma infatti il responsabile del coordinamento catanese, Giuseppe Strazzulla, “vi sono alcuni punti fondamentali raggiunti negli ultimi anni dai quali non si può tornare indietro, come ad esempio la restituzione alla società, a fini sociali, dei beni confiscati alle mafie. Il decreto inoltre non fornisce le risposte auspicate sul piano del contrasto alle mafie transnazionali e dei loro giganteschi affari, dal riciclaggio all’immigrazione, ai problemi ambientali” .
Nella conferenza stampa successiva all’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, Angelino Alfano ha dichiarato che questo decreto è “il completamento della strategia del governo di contrasto alla criminalità organizzata”. Nell’appello, invece, non solo le associazioni antimafia ma  anche le “organizzazioni del lavoro e dell’impresa esprimono profonda preoccupazione” perchè  il decreto approvato in questa forma “indebolirebbe il contrasto alle mafie“.
Se gli strumenti di questo “contrasto” sono così inadeguati come viene denunciato,  non può non sorgere una domanda: l’ inadeguatezza nasce solo da approssimazione?  ci sono altri interessi in gioco?  come mai una proposta di legge che riguarda un argomento così serio e complesso  sta arrivando al voto parlamentare nel silenzio generale?
E’ fondamentale leggere il breve ed incisivo testo dell’ appello

Argo

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