E’ ambiguo il discorso pubblico sulle migrazioni, è contraddittorio e lacunoso oltre ad essere retrogrado, incivile, tossico, violento. Condivide questi caratteri con molti discorsi che circolano oggi nella sfera pubblica. I mass media ne sono veicoli, ma i fuochi mediatici si spegnerebbero rapidamente senza forti interessi in gioco e senza una legittimazione politica mirata alla ricerca di visibilità e di consenso. Questo non riguarda soltanto gli aspetti dichiaratamente xenofobi o razzisti, ma l’intera impalcatura culturale che sorregge le cornici dominanti.
E’ un processo corruttivo che deteriora il pensiero, che rende impossibile la crescita, che disabitua le giovani generazioni al pensiero critico. Un processo collettivo di decerebralizzazione, che non trova più anticorpi.
Molto del nostro “sapere” sull’immigrazione ci informa su noi stessi che produciamo questo sapere, più che sull’oggetto. Parla molto più di noi – della nostra società, dei suoi fantasmi, delle sue paure, dei suoi preconcetti – che dell’Altro.
La nostra classe dirigente pensa di affrontare rivolgimenti epocali con le armi miserabili dei respingimenti, delle quote e dei permessi, alla ricerca del capro espiatorio, criminalizzando, manipolando le paure e le insicurezze della gente. Tutto questo produce disperazione e morte, e umilia le nostre coscienze.
La storia europea delle politiche migratorie si caratterizza per un rafforzamento continuo delle forze ideologiche nazional-securitarie, sempre meno bilanciate da spinte contrarie: nel silenzio colpevole delle sinistre, che non sanno costruire scenari alternativi (su questo cfr. il volume dello stesso autore “Razzismo democratico”) e cedono all’ambiguità del paradigma utilitarista e alla pochezza paternalista di strategie riparatorie.
Nella società individualistica del terzo millennio un rivolgimento culturale profondo e regressivo ha investito i valori stessi del Cristianesimo (solidarietà, ecumenismo), l’accezione stessa di “diritti umani” e la nozione stessa di politica: ha fatto ripiegare la declinazione stessa del vivere in democrazia.
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