Ma di tranquillanti non ce ne sarebbe stato bisogno. Il discorso di Emma si è snodato fluido e ricco come un fiume in piena e ramificato come il suo delta. Tanti sono stati gli stimoli, le sollecitazioni, gli spunti, e talmente poco il tempo disponibile per i grandi argomenti da trattare che si è deciso di rivedersi per riparlarne ancora.
Parte da lontano, Emma, dalla Declaration of sentiments approvata nel primo convegno della storia sui diritti delle donne a Seneca Falls, vicino a New York, nel lontano luglio 1848. Da quella Elizabeth Cady Stanton che allora auspicò che le donne imparassero ad essere “prima giuste verso se stesse che generose verso gli altri”. Da lì si snoda il discorso: le pratiche, tenere insieme il fare e il pensare, il separatismo, nato nel 65 negli Usa, e l’autocoscienza, il self help, relazione di mutua conoscenza e riconoscenza. “Il personale è politico” che mette in discussione la dicotomia pubblico-privato e mostra l’esigenza di creare un’immagine nuova delle donne, di inventare parole e gesti. E ancora oltre, fino alle fratture della fine degli anni 70, con le questioni dell’aborto e del terrorismo che oscurano la priorità del femminismo. Va avanti il discorso, sempre appassionato, talora in singulti e frammenti, come se sentimenti ed emozioni di allora si riverberassero sul confronto di oggi, in commenti-battute-domande-complicità-allusioni; riferimenti, cenni appena, a fatti ed esperienze vissute dalle femministe storiche di Catania. Rimangono escluse le più giovani e altre che di quella pratica politica furono, incolpevolmente o dolosamente? ai margini. Forse urge la compilazione di un glossario del femminismo. Di più: un confronto serrato ma affettuoso che sia cerniera tra donne di generazioni e percorsi diversi. Perchè da lì si possa ripartire per…?
Raccontiamolo, dunque, senza pregiudizi e giudizi e con tanta memoria.
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