A Librino, periferia difficile di Catania, vive una ragazzina, Manuela (l’esordiente Carla Marchese) con la famiglia, la madre Rita, ex miss di borgata (la bravissima Donatella Finocchiaro), il padre disoccupato, frustrato e assente (Beppe Fiorello), la sorella, una sorta di Paris Hilton dei poveri. Non c’è amore in quella casa ma solo urli, disgregazione e violenza. La ragazzina lavora da una parru-fattucchiera (la grande Piera Degli Esposti), tarocchi e messe in piega: “Sistemo la testa delle donne dentro e fuori”.
Un giorno Manuela, annoiata, inventa di aver visto in sogno la Madonna che le ha suggerito dove ritrovare la testa della statua a lei dedicata che tre balordi avevano decapitato la notte precedente con una pallonata. In realtà Manuela ha visto dalla finestra di casa sua i tre ragazzi giocare a pallone, danneggiare la statua di questa vergine, peraltro fisicamente dotata, e infine nasconderne i resti in un garage.
La storia monta e la ragazzina diventa agli occhi del quartiere una santa. Una teoria di poveri disgraziati che prima si rivolgeva alla maga, adesso, va a bussare alla sua porta, chiedendole di intercedere per ottenere grazie: chi vuole trovare lavoro, chi sfondare nel mondo dello spettacolo, chi trovare l’amore di una donna; chi aspira soltanto alla vittoria della squadra di calcio (tra i questuanti, autentica rivelazione, una inedita Lucia Sardo in versione comica).
Rita sfrutta il “dono” della figlia, ottenendo fiori, doni, denaro e organizza un vero e proprio business vendendo santini e gadget con le immagini della piccola santa. A trovare Manuela vanno politici e alti prelati. Ci va anche una ragazza che ha perso la vista in seguito ad una forte emozione negativa. E’ l’unica a non credere. La cieca “vede”, riconosce la truffa e in un incontro a quattr’occhi con la ragazzina glielo dice apertamente. Tra le due si stabilisce un rapporto autentico e paritario, un forte contatto. Nessuna delle due mente all’altra.
La cieca riacquisterà la vista ma la Torre non denuncia il miracolo. Potrebbe averla riacquistata per caso o per una seconda emozione, stavolta positiva, scaturita da una sorta di transfert stabilito nel corso dei colloqui con Manuela, per affettività e empatia.
Il finale è aperto e diversamente interpretabile tanto da fare ottenere al film il Premio Brian, messo in palio dall’Unione degli Atei e degli Agnostici razionalisti. Ma il miracolo c’è.
Avviene quando la madre si accorge che tutto il mondo di piacere e affari che ha creato si sbriciola miseramente. Così smette il look e il trucco da icona di volgarità (La Torre si è ispirata a Simona Ventura e a Loris Del Santo) e fa la mamma. E’ in quell’abbraccio e in quei baci, finalmente dati a Manuela, il vero miracolo.
Lo stile del racconto è quello ridondante, grottesco e barocco di “Tano da morire”, tra pop e video art; collage eccentrico di immagini singhiozzanti, colori accesi e recitazione sempre sopra le righe, purtroppo non
Tano da morire, però, era un innovativo musical alla siciliana; questo film invece aspira ad altro. In qualche inquadratura, la Torre sembra voler citare Almodovar o addirittura Fellini, senza, naturalmente, nemmeno sfiorarne la grandezza. Così convince poco l’andamento schizoide e altalenante tra i registri drammatico e comico per nulla amalgamati.
Un film nato da una bella l’idea male esplicitata, pieno di potenzialità inespresse. E quando scorrono i titoli di coda, sui quali ascoltiamo il bellissimo brano “Oltre” della giovane cantante pugliese Erica Mou, rimpiangiamo “Angela”, il film precedente, meno velleitario e più preciso nella
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Scusatemi, da quando si parla della musica dei titoli di coda tralasciando la colonna sonora?
Ma a chi interessa che tale Erika Mou ha fatto la musica dei titoli??
Sono tante le cose che non abbiamo citato nel post. Una critica, naturalmente, è una visione di parte e parziale dell'evento di cui si parla e non vuol essere esaustiva del tutto. Non vuol essere insomma una scheda, un elenco che escluda la visione di chi scrive. Abbiamo apprezzato quella canzone e lo abbiamo scritto. Punto. Erika Mou, che non conoscevamo prima e che ci è piaciuta, non ha fatto la musica dei titoli di coda; canta soltanto la canzone che nel montaggio del film è stata abbinata ai titoli di coda.