Intervista a Elvira Iovino, assistente volontaria che da 5 anni lavora nelle carceri catanesi per conto del Centro Astalli. Emerge che il problema della fatiscenza del carcere di Piazza Lanza è secondario rispetto a quello del sovraffollamento, provocato anche dalla legge Bossi-Fini.
Le strutture del carcere, predisposte per contenere non più di 180 detenuti, ne contengono oggi più di 300, il 10% dei quali è costituito da stranieri, comunitari o extracomunitari, incriminati per sfruttamento della prostituzione o per spaccio di stupefacenti. Molti, tuttavia, sono in carcere solo per non aver ottemperato al decreto di espulsione, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale che ha escluso che si consideri reato l’impossibilità di lasciare l’Italia per mancanza di disponibilità economica.
Non potendo essere trattenuti, questi stranieri rimangono in carcere solo una settimana circa, poi vengono rilasciati. Trattandosi di persone “invisibili” e senza fissa dimora, è ipotizzabile che, una volta rilasciate, diventino manovalanza malavitosa.
Il fatto che questi stranieri presenti in carcere cambino continuamente non permette di pianificare, nei loro confronti, nessun intervento che non sia quello di un’assistenza materiale elementare. Essi, infatti, non dispongono di nulla e non possono acquistare nulla, neanche del sapone, che l’amministrazione non passa. Il Centro Astalli ha in carcere un banco vestiario e provvede a rifornire queste persone di ciò che è necessario, dallo shampo alle mutande, alle camicie, agli asciugamani.
Un altro problema grave è quello della lingua. Queste persone, in genere, non parlano l’italiano e in carcere non c’è un interprete che li comprenda. Anche a questo propsito il Centro Astalli offre l’aiuto volontario di un mediatore culturale.
Le condizioni del carcere sono, comunque, molto difficili per tutti, anche per i detenuti italiani. Ilsovraffollamento è tale che in ogni cella possono trovarsi anche 10 persone, molte delle quali hanno problemi psichiatrici e sono a rischio suicidio. Il 50% del totale è costituito da persone tossicodipendenti, che il servizio sanitario cerca con difficoltà di seguire in carcere. Le donne sono una quindicina, accusate di prostituzione, furto, spaccio e, anch’esse, di violazione della Bossi Fini.
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