Non è necessario contrapporre Hallowen e la tradizionale festa dei morti. O esprimere giudizi negativi (o positivi) sull’una o sull’altra modalità di contrassegnare questi giorni che, di fatto, segnano il passaggio alle giornate più ‘buie’ e quindi all’inverno. Ci limitiamo, per adesso, a constatare che, della nostra tradizionale festa dei morti, si è perduta l’atmosfera di trepidante attesa, vissuta soprattutto dai bambini. E non soltanto per l’aspettativa dei regali, che comunque essi ricevevano in passato molto più raramente.
Un’atmosfera che abbiamo ritrovato descritta nelle parole con cui Nino Bellia rievoca la sua infanzia.
Bella la Festa dei Morti… Eravamo piccoli e ci credevamo davvero. Io, nel mio lettino in via Pietro Carrera, a Cibali, fingevo di addormentarmi accanto a zia Caterina, ma stavo con gli occhi ben aperti, e mi batteva il cuore per un misto di paura e di speranza.
La paura di trovarmi davanti all’ignoto e all’arcano, ai Morticini che sarebbero spuntati da qualche parte, silenziosi, forse in processione… che aspetto avevano? e chissà se facevano i dispetti ai bimbi curiosi, come me?
Poi, inevitabilmente, mi addormentavo, e la mattina presto saltavo giù con avido entusiasmo, in cerca dei regali lasciati dai Morti: una tròttola, una carrozza del Far West, le costruzioni, ‘i cosa ruci”…ossa ‘i mortu, rami ‘i Napuli, ‘nzuddi ccâ mènnula…
Antiche tradizioni per mettere in contatto l’al di qua e l’al di là, esorcizzando l’ombra della morte e affezionando i bimbi ai parenti che non c’erano più…
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NOSTALGIA PROFONDA mista ad altrettanta dolcezza dell’animo unita ad inconfessata speranza.
Il 2 Novembre, dolcissimo pittoresco ed incompreso momento di vita della vita di ringhiera sul cortile, vero e proprio αγορα, nel senso più completo del termine.
I papà e le mamme si apprestavano ad andare al cimitero, preparando in grossi mazzi i crisantemi che avevano acquistato sin dagli ultimi giorni di ottobre, i bambini eccitatissimi rovistavano la casa cercando i regali che durante la notte i Morti avevano portato.
Si in Sicilia i regali ai bambini li portano i Morti.
Non è una barbara usanza, come commentano in molti; è, se volete una testimonianza della foscoliana eredità d’affetti che fa apparire il sonno della morte men duro; è soprattutto un affettuoso e imperituro collegamento con il passato della famiglia.
Non sono i morti, nel senso di fantasmi più o meno buoni, che portano premi o castighi. Non c’è alternativa, non c’è dolcetto o scherzetto, in cui lo scherzetto è spesso un tiro mancino dal sapore punitivo, come nella tradizione di Halloween che, ahimè, prende sempre più piede anche da noi mediterranei, nel medesimo periodo dell’anno.
Qui c’è soltanto amore e regalo, non sono i morti in generale, bensì i defunti della famiglia, i nostri Morticini, che portano i regali ai nostri Bambini, alla loro progenie.
È un perpetuare il rito dei Penati. La statuetta dei Penati che Anchise tiene in mano mentre fugge sulle spalle di Enea dal rogo di Troia, sono sostituite dalle fotografie di chi non è più, raggruppate in una cornice apposita, appesa al muro leggermente inclinata.
Il 31 Ottobre ed il 1° Novembre, i genitori lasciati i bambini con nonni, zie e cugini, si affrettavano all’acquisto dei doni, in vari negozi di giocattoli, ma soprattutto alla Fiera dei Morti, cercando di interpretare i desideri più o meno nascosti dei figli. Tornati rapidamente a casa, nascondevano i regali e correvano a riprendere i bambini, intimando loro di andar presto a dormire per non disturbare i Morti, che certamente sarebbero venuti.
La mattina del 2 Novembre, dunque, i bambini eccitatissimi rovistavano per ogni dove, finché trovavano i doni e, beati e felici, andavano a giocare con i compagni.
‘U patri accatta, ‘a matri ammuccia, ‘u figghiu ammucca!
Ai tempi della mia infanzia, il regalo più diffuso per i maschietti, sollecitati dall’immaginario indotto dai film americani sull’epopea del West, erano certamente le pistole, ed il cortile era un assordante echeggiare di spari, sembrava scoppiata una battaglia tra Indiani e Cow-boy. Le bambine trovavano bambole, modellini di arredamento, salotti in miniatura, perfette riproduzioni di cucine (ancora senza batterie e senza forno illuminato), e così via.
Qualcuno era costretto ad accontentarsi del carriolu a pallini, tavole di legno montate su cuscinetti a sfera (pallini) che si manovravano con grande abilità, o della versione più snella e veloce, il monopattino.
La mattina di un due novembre, stavo facendo colazione col latte Nestlé condensato, mescolato col cacao amaro senza aggiunta di acqua. Era ancora presto, non avevo cominciato a rovistare la casa per vedere dove i Morticini avessero nascosto i regali. Assonnato, tra un cucchiaino e l’altro, feci un sobbalzo udendo l’acuto suono di una tromba a pera di quelle che usavano sulle auto degli anni trenta.
Guardai la mamma, che ricambiò il mio sguardo altrettanto stupita.
Poi si aprì lentamente la porta che comunicava con la sala da pranzo e semovente avanza la più splendida automobile a pedale ch’io avessi mai visto (papà, steso in terra, la spingeva non visto)!
Il regalo dei Morti della mia famiglia che non avevo mai conosciuto. Papà l’aveva costruita con le sue mani, su un telaio acquistato dal rigattiere; era tutta di legno, ricordava le torpedo degli anni trenta, aveva le pedane laterali. Era perfetta.
La Festa dei Morti (festa, non funerale) è una tradizione cui sono molto legato; sono convinto che educhi i bimbi al costante ricordo ed alla venerazione dei propri antenati.
Le mie figlie, hanno conosciuto quattro nonni e tre bisnonni; è ovvio che il concetto di parente morto non le ha sfiorate per molto tempo. Tuttavia, quando cominciarono a frequentare la scuola, fu necessario iniziarle al concetto della festa dei morti e dei regali, se non altro per uniformare i messaggi di famiglia a quelli che avrebbero ricevuto all’esterno. Raccontai loro dei miei nonni, dei fratelli dei loro nonni viventi, che non c’erano più. Erano loro che portavano i regali ai nuovi bambini della famiglia. Non so quanto ci credessero; certo, per loro era molto più bello vivere accanto ai sette nonni vivi, piuttosto che ricordare qualcuno che non avevano mai conosciuto. Esse godevano dell’amore di tutti i nonni, con ognuno dei quali avevano un feeling specifico.
Il rapporto con mio padre, nonno Aurelio, forse, era più intenso, sia perché vivevamo insieme e quindi passava molto tempo con loro sia per la sua abilità manuale nel costruire bellissimi giocattoli.
La casa di Barbie, quella con i vari piani e l’ascensore, le mie figlie l’hanno avuta molto prima che comparisse in commercio; l’aveva costruita papà.
Papà morì nel settembre dell’81; spiegai alle bambine cosa fosse la morte e la mia certezza che la vita continuasse oltre quella terrena, come la tradizione e la fede cristiane insegnano. Assorbirono il colpo in silenzio, elaborando pensieri e considerazioni che non hanno mai esternato; poi la vita riprende.
Dopo qualche settimana Alessandra manifestò il suo dolore per l’assenza del nonno, perché la culla per le bambole che lui aveva costruito s’era rotta, e lei non poteva più dire: nonno, aggiusta! Portai in garage la culla sfasciata, e per diverse sere e qualche notte dedicai ad essa parte del mio tempo; ma non avevo l’abilità di papà.
La mattina del due novembre Alessandra fu felice di ritrovare la sua culla, il nonno l’aveva aggiustata; i morti sono vivi anche se non li vediamo. Grazie nonno AU, disse volgendo gli occhi al cielo! Poi corse a giocare con Francesca, con Claudia che partecipava dal box.
Al pomeriggio, quando tornai dal mio giro al cimitero, Alessandra, tutta seria, mi chiese se i Morti, in Cielo, stessero male in salute o in qualche modo fossero sofferenti. Ma no, le dissi, in Cielo non ci sono malattie né vecchiaia, sono tutti felici, sono vicini a Gesù, non hanno freddo né caldo, è una splendida eterna primavera. Perché mi chiedi questo?
Ci pensò su qualche secondo, poi: Mah, non lo so papà, quando era vivo, il nonno i giocattoli li aggiustava molto meglio!
Oggi, se il due novembre sono costretto a Padova, al pomeriggio Alessandra mi telefona e mi racconta il giro che ha fatto al cimitero, i fiori che ha deposto, le tombe che non è riuscita a trovare, il fiore che ha lasciato sull’ossario, in memoria di tutti.
Gli amorosi sensi sopravvivono in lei anche per la tradizione della Festa dei Morti.
Novembre 2005
Grazie, Giuseppe, di questo bellissimo e personale ricordo