Cristina, alla fine degli anni novanta – al tempo del millennium bug – usa la cabina telefonica per comunicare con tutti, a partire dai genitori. Anche se sono forniti, almeno il padre, di cellulare. Una scelta originale, oggi impensabile.

E’ una studentessa universitaria, alle prese con la tesi. Per semplificare diremo una tesi su Kafka, ma il tema, come scoprirà chi legge il libro, è sicuramente più complesso. Vive in un appartamento romano (a San Lorenzo) con Fabio e Giulia, due coinquilini. Definizione, per entrambi, decisamente riduttiva.

Nel suo secondo romanzo (Arkadia, 2025), Andrea Alba, siciliano di nascita ma torinese di adozione, ci racconta il percorso di Cristina. Non vi diremo se arriverà a discutere la tesi. Ma vi diciamo che si tratta di un percorso intellettuale che si intreccia indissolubilmente, ma non potrebbe essere altrimenti, con la vita reale.

Ragionare su Kafka, vuol dire innanzitutto porsi il problema della/e traduzione/i, che, come ricorda Umberto Eco, significa “dire quasi la stessa cosa”. E, in fondo, mediare fra il rispetto del testo originale e l’effetto che si vuole generare nel lettore, non è molto differente da quanto facciamo tutti noi ogni giorno comunicando con gli altri.

Cristina comunica con i genitori separati, costringendo il padre ad anticipare in sua vece alla madre quelle scelte che quest’ultima, una professoressa piuttosto ‘rigida’, contesterebbe radicalmente. Comunica con Fabio e Giulia, dimostrando, per entrambi, un coinvolgimento fisico, oltre che intellettuale, e costruendo un rapporto che procura serenità e partecipazione (forse anche un pizzico di invidia) nel lettore. I più colti userebbero, ma non è esattamente la stessa cosa, il termine serendipity.

Un rapporto che non pretende di omologare a sé gli altri due. Fabio, ossessionato dal bug, diversamente da Cristina che non possiede un computer, seguirà un percorso autonomo per tuffarsi nella vita reale: l’impiego in una videoteca, che progressivamente diventerà una sua ‘creatura’. Giulia, che con fatica è riuscita a non lavorare nello studio legale di famiglia (come tradizione imponeva) ed è immersa in mille contraddizioni, prova a vivere in modo originale la propria capacità creativa, stimolata a suo tempo da una professoressa di Arte capace di affascinare gli allievi.

Cristina comunica con Laura, l’amica, con i piedi per terra, che la invita a non tuffarsi in avventure personali complicate e difficili da gestire. Comunica anche con Danilo, giovane dottorando, che si è, però, piegato subito alle logiche competitive in vista della futura carriera, cosa che Cristina, nonostante il coinvolgimento emotivo e personale, scoprirà a proprie spese.

Comunica, infine, con il pieno coinvolgimento di Fabio e Giulia, con uno strano personaggio, di cui non diremo il nome, capace di tradurre in italiano, e diffondere, testi di autori stranieri che non sono mai stati scritti, e che si propone come il primo traduttore italiano de “La metamorfosi”.

Un modo del tutto originale (potremmo dire kafkiano) per ragionare sul senso della letteratura, sulla sua capacità di insinuarsi fra le crepe della realtà e di costruire altri mondi possibili. Un intellettuale di cui si dovrebbero far conoscere il percorso e le scelte.

Proprio perché, come afferma Andrea Alba, parlando del romanzo, “il vero protagonista è il potere della parola, il suo ambiguo confine tra verità e inganno”, il dubbio che mina le certezze.

Un’ultima notazione, ma riguarda chi scrive. Ne “La solitudine dell’orso” (2019) i brani musicali erano troppo recenti per il sottoscritto. Ne “L’ombra di Kafka”, almeno parzialmente, ho ritrovato anche riferimenti per me comprensibili. Che Andrea stia invecchiando?

Leggi anche La solitudine dell’orso tra sogni e precarietà

Argo

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