Ancora una volta l’archeologa e saggista Francesca Valbruzzi ci propone l’intervista ad un/una collega che ha di recente pubblicato un testo che può interessare non solo gli specialisti ma anche il grande pubblico. Nel caso del libro presentato oggi, il tema trattato è di scottante attualità. Si tratta di “Donne e violenza di guerra. Uno sguardo sull’età antica” di Mariarosaria Barbera, Edizioni Espera, Roma 2024.
L’autrice, dopo aver occupato ruoli dirigenziali in Soprintendenze e Luoghi della cultura, tra cui la Soprintendenza Speciale di Roma e il Parco di Ostia antica, ha da qualche anno intrapreso un impegnativo progetto scientifico volto alla divulgazione delle innumerevoli storie di donne dell’antichità troppo spesso oscurate dalla storiografia. Per comporre il suo vasto racconto, confluito in una collana di volumi, Barbera si è servita delle ricerche condotte negli ultimi decenni su molte di queste figure “fuggitive ed opache”.
Per paradosso proprio la cultura greca, senza dubbio la più misogina dell’antichità, ha saputo rappresentare, sin dai poemi omerici, in modo autentico il dolore delle donne vittime delle violenze brutali degli uomini impegnati nella guerra, che pure era ritenuta l’attività fondamentale per le società antiche. La voce di Cassandra preda di Agamennone risuona ancora oggi a testimoniare l’orrore subito dalle vittime senza voce del nostro tempo moderno che non ha saputo o voluto ripudiare la guerra?
La misoginia ha rappresentato una costante per buona parte del mondo antico, ma la donna generava figli consentendo la perpetuazione della specie, quindi non se ne poteva fare a meno. Anche in tempo di pace, il richiamo sessuale prendeva non di rado l’aspetto della violenza, che esplodeva in tempo di guerra con stupri di massa, maltrattamenti e torture sulle donne dei nemici vinti.
In questo senso, Cassandra è una figura davvero emblematica perché, avendo rifiutato le attenzioni sessuali del dio Apollo, è lasciata dagli dei alla violenza degli uomini. La sua tragica sorte la vede violata come donna e come preda di guerra, con l’aggiunta dell’elemento religioso del sacrilegio, perché lo stupro avviene in un tempio dove lei, sacerdotessa, è aggrappata al simulacro della dea Athena.
Infine, è massacrata a colpi d’ascia da Clitemnestra, moglie del suo ultimo padrone, Agamennone, per vendetta e gelosia. Tutto questo, nel panorama letterario greco, fa di Cassandra la quintessenza della donna vittima di guerra, tanto che diventa protagonista di un poemetto di età ellenistica dove – ed è una novità nella letteratura dell’epoca – è lei in prima persona a narrare la sua storia, maledicendo con frasi ora grandiose, ora oscure, i suoi nemici insieme alle loro donne. La sua voce, che invita a ripudiare la guerra, rimane e rimarrà sempre attuale anche per noi, in questo momento difficile.
L’autrice, con sicuro metodo archeologico, fa riemergere dalle profondità del passato le protagoniste di epoche diverse, tutte egualmente oscurate o dileggiate in quanto donne dagli storici antichi, riscoprendo di ciascuna il carattere, le capacità strategiche e i saperi. Ci sono anche intere genealogie di donne, per esempio le principesse reggenti dei piccoli Augusti che governarono l’Impero d’Occidente nell’epoca della sua fine. Uno stesso destino di “pedine politiche” accomuna Giustina, invisa perché di fede ariana, la figlia Galla, la nipote Galla Placidia e la pronipote Placidia Junior, le quali, tra matrimoni forzati con gli usurpatori, rapimenti da parte dei capi barbari e ritorni al proprio rango, riuscirono comunque a farsi tramite tra l’Impero e i suoi avversari, tra parte occidentale e orientale, in un’età nella quale Roma stessa era preda dei Barbari, fino alla caduta definitiva nel 476. Queste doti di mediazione tra mondi diversi possono essere ascritte alle donne e potrebbero cambiare il corso degli eventi ancora oggi?
Il ruolo e la capacità di mediazione delle donne, spesso una costante della società già nel mondo antico, sono appena accennati dalle fonti: è solo “scavando” approfonditamente che se ne possono trovare tracce. Qui il mondo del mito e della letteratura e quello reale corrono appaiati, mostrando da una parte la figura emblematica di Antigone nelle sue diverse declinazioni, dall’altra le donne della storia, incluse quelle appena citate della linea imperiale romana dei Teodosidi-Valentiniani, le cui vicende reali ricordano i romanzi “di cappa e spada”
L’archeologia mostra continue interrelazioni tra società diverse – penso anche alla nostra Italia meridionale pre-romana – dove le donne inviate o predate come spose dei “coloni” greci o di uomini di altri centri abitati, trasferivano nel nuovo ambiente usi e saperi, in un evidente processo di mescolanza culturale. Si parla al riguardo di “intermarriage”, termine che ha sostituito la nostra espressione “matrimoni misti”.
Euripide, nell’Elena, fa dire a un coro di donne che le contese si possono fermare con le parole; nella Lisistrata di Aristofane, la protagonista invita a comporre i contrasti “al modo delle donne”, cioè parlando affabilmente. Che l’approccio femminile a contese e guerre sia spesso diverso da quello maschile, è in parte vero, in parte un luogo comune: è vero se l’approccio mette al centro i valori morali, prima che politici; non lo è se, come non di rado accade, ci si ispira a modelli e comportamenti tipicamente maschili. Rivendico tuttavia alla sfera femminile la capacità di guardare alla società e ai suoi fenomeni in maniera diversa, violenza e guerre incluse.
In conclusione al suo avvincente racconto storico “al femminile” l’Autrice si interroga sui dubbi che l’avevano colta nell’avviarne la scrittura: “avevo pensato che fosse un’operazione pleonastica, tanto più considerando che la violenza come costante della società e della vita quotidiana è concetto che non necessita di dimostrazioni specifiche”. Possiamo invece sperare che la violenza possa non essere più una costante delle società umane, anche attraverso un nuovo modo di raccontarne il passato?
In effetti, mi sembrava pleonastico elaborare conclusioni, quando gli effetti delle guerre con il loro corredo di violenze sono sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, mi sono convinta del contrario, anche perché ritengo necessario che ognuno di noi, con i propri mezzi, levi alta la voce per stigmatizzare i conflitti che dilaniano molte zone del mondo.
Sono nata nel 1955, dieci anni dopo la conclusione dell’orrenda II Guerra mondiale – il mantra era “mai più” – e ho vissuto l’infanzia e buona parte della vita nel convincimento che le guerre fossero ormai episodi “random”, relegati ad aree particolari devastate da contrasti spesso etnici o comunque “locali”. Ovviamente sbagliavo, avendo elaborato una falsa visione delle cose, come dimostrano i conflitti che almeno dal 1991 hanno riguardato l’Europa: quella parte del mondo, già protagonista delle tragedie coloniali e incubatrice dei due conflitti mondiali, che volevamo pensare fosse infine divenuta un faro di civiltà e di valori condivisi.
In questo senso, la memoria degli avvenimenti passati è molto importante, perché può consentire ai più avveduti e responsabili di non ripetere gli errori commessi. La storia è definita magistra vitae, proprio perché da essa si possono trarre insegnamenti positivi, capaci di indirizzare verso la creazione di una società diversa e migliore. In tale quadro, rileggere e interpretare correttamente la storia – anche di quella delle donne – è un elemento da non trascurare.
Poiché non possiamo impedirci di sperare in un mondo migliore, l’auspicio è questo: che la conoscenza della storia, con uno sguardo più ampio e libero da pregiudizi di qualsiasi genere, possa aiutare tutti noi. Permettetemi di chiudere questa intervista con il brevissimo passo delle Supplici di Euripide, con cui ho aperto il libro:
“O miseri uomini, perché l’armi impugnate, e gli uni agli altri/morte infliggete? Or desistete, bastino questi travagli, e le città reggete in pace, e pace abbiano gli altri. Il termine di vita è breve e meglio val trascorrerlo senza crucci, affrontarlo agevolmente.”
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Molto interessante soprattutto per l' attenzione ai periodi storici e ai particolari minutamente descritti nel testo, nonche' alla capacità di mediazione delle donne e all' adozione di un linguaggio sereno piuttosto che violento. Una questione costantemente ribadita dalle realtà femministe e dalla politica delle donne , e analisi sapienti che l' autrice propone nel suo testo accurato, che vanno riprese e approfondie insieme a realtà maschili ora più attente e disponibili al dialogo di un tempo !!