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Sorelle vi crediamo. I difficili percorsi di chi denuncia la violenza sessuale

Riceviamo e pubblichiamo questo intervento delle attiviste e degli attivisti di Consultorio Mi Cuerpo Es Mio e Non una di meno Catania

“Se non c’è dissenso, non c’è violenza” questa una delle frasi utilizzate e scritte sui giornali per spiegare il perché dell’assoluzione di un docente del Policlinico di Catania dall’accusa di molestie sessuali.

Non è più possibile continuare ad affrontare il tema della violenza di genere e sulle donne con questa superficialità e incapacità di leggere la strutturalità del fenomeno, e non ci stancheremo mai di ripeterlo.

Per questi motivi, venerdì 30 Maggio a Catania è stata organizzata un’occupazione simbolica delle scale del Tribunale di Catania da parte delle attiviste e degli attivisti del Consultorio Mi Cuerpo Es Mio, Spine nel Fianco, Chi Raggia Unict e Non una di meno Catania.

“Senza consenso è violenza. Sorelle vi crediamo! Basta giustizia patriarcale”, recita lo striscione esposto sulle scale del Tribunale insieme a immagini raffiguranti le innumerevoli sentenze “fotocopia” collezionate negli anni dai tribunali italiani.

Ancora una volta le università e i tribunali non sono spazi sicuri, ancora una volta non siamo state credute, ancora una volta viene tutelato l’uomo violento perché in una posizione di potere.

Ancora una volta i tribunali collezionano l’ennesima sentenza che non considera il consenso.

Sentenze che dichiarano che i nostri corpi possono essere palpati e toccati se non si “eccede” in quantità e qualità, se non riusciamo a dire di no sul momento. Non siamo credibili se ci mettiamo del tempo a denunciare, o se vestiamo come preferiamo.

Questa sentenza è violenta e patriarcale, colpevolizza e umilia tutte quelle donne e soggettività che decidono di lottare contro uomini violenti e abusanti. Questa giustizia non ci appartiene, ma pretendiamo che le donne e le soggettività che scelgono di intraprendere una denuncia non debbano fronteggiare una seconda violenza dentro le mura delle istituzioni, le stesse che il 25 novembre e l’8 marzo collezionano passerelle e iniziative di prevenzione contro la violenza di genere e poi sono le prime a riprodurle.

Per abbattere e sconfiggere la violenza di genere, ci vuole formazione, ci vuole educazione sessuo-affettiva, ci vogliono tribunali e istituzioni che ascoltino coloro che si espogono denunciando, e non che le mettano sul banco degli imputati, costringendole così a subire un processo su loro stesse, su quello che avrebbero potuto dire o fare per evitare di subire quella violenza o quella molestia, e che forse si concentrano troppo poco sull’altro lato, su come si possa prevenire tutto ciò.

Molto spesso le donne vengono incolpate di non denunciare quando subiscono molestie, abusi, violenza domestica etc.. ma spesso non si vede cosa si è costrette a subire entrando nel circolo della giustizia. Leggere sentenze di questo tipo fa perdere ancora di più la fiducia delle donne nelle nostre istituzioni.

E’ ancora più difficile denunciare nei luoghi della formazione come le università, dove spesso c’è un grande squilibrio di potere fra chi agisce la violenza e chi la subisce. E’ di qualche settimana fa, infatti, un’inchiesta svolta dalla CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) all’interno degli atenei. Sono più di 200 le segnalazioni presentate nell’arco di pochi mesi, la maggior parte provenienti da studentesse e studenti. Il sud Italia risulta la parte del paese in cui meno si denunciano episodi di molestie e abusi: il 60 % delle università del Sud dichiara di non aver mai ricevuto nessuna segnalazione.

Con un quadro come questo, l’ennesima sentenza di questo tipo è solo aberrante.

Serve un cambiamento radicale, che attraversi ogni ambito della vita, dai luoghi della formazione e del lavoro, a quelli più istituzionali.

Esprimiamo la massima solidarietà e vicinanza alle 7 studentesse che hanno deciso, con grande coraggio, di lottare contro un professore molestatore. Sorelle vi crediamo!

Argo

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