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Gaza vive?

Spari in aria, colpi d’avvertimento, nessun ferito. Energiche proteste e richieste di spiegazioni da parte dei governi coinvolti, molto più energiche di quelle espresse in occasione dei quotidiani bombardamenti che stanno distruggendo Gaza e sterminando i suoi abitanti.

Questo ci racconta oggi la cronaca a proposito della sparatoria che ha coinvolto un gruppo di diplomatici in visita al campo di Jenin in Cisgiordania. Il ministro Tajani ha convocato l’ambasciatore d’Israele perché la diplomazia (giustamente) non si tocca, ma gli aiuti umanitari possono essere bloccati alle frontiere mentre la gente muore di fame, gli ospedali essere distrutti e i volontari uccisi, senza che ci siano vigorose levate di scudi da parte dei governi, ma solo flebili espressioni di rammarico.

Se il governo tace o minimizza, le iniziative dal basso si moltiplicano. In tutta Italia, anche a Catania.

Molti i cortei, ma numerose anche le presentazioni di libri come “Sotto il cielo di Gaza” di don Nandino Capovilla e Betta Tusset, responsabili della campagna ‘Ponti e non Muri’, presso la parrocchia SS.Pietro e Paolo, o le proiezioni di film come Viaggio a Gaza del regista italiano Piero Usberti, organizzata ai Benedettini dalla cattedra di arabo del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università, in collaborazione con Nazra Palestine Short Film Festival e Assopace Palestina.

Un film girato nel 2018 e finito di montare una settimana prima del 7 ottobre 2023, che rappresenta oggi una delle testimonianze di come si vivesse a Gaza prima dell’attuale “guerra” di annientamento.

Una striscia di 40 chilometri, un’unica lunga strada sempre affollata di macchine, di pedoni, di carri. Una gioventù che canta, discute, legge, ma non può che essere infelice e irrequieta. Si sente prigioniera e sogna la libertà. Prigioniera dentro la prigione più grande del mondo, “da una parte il mare e dall’altra il filo spinato” a cui non ci si può neanche avvicinare perché lì gli israeliani hanno “diritto” di sparare.

E sopra la testa la sorveglianza dei droni. Un assedio plurimo, “da parte di Israele, del presidente Abbas (ANP), di Hamas” che impone rigide regole ‘religiose’. Ma anche degli Usa e dei paesi arabi, che i Gazawi non sentono affatto solidali. A tenerli prigionieri – dichiarano alcuni di loro – contribuiscono anche “le tradizioni”, quelle che impediscono ai giovani, alle donne, di uscire da certe regole, di andare a vivere da soli o (ancor peggio) da sole.

Sanno che Israele li considera “terroristi” anche solo se partecipano – disarmati – ad una manifestazione del venerdì per il “ritorno”, dove rischiano di essere uccisi o feriti dai cecchini che sparano sulla folla disarmata. E dove molti di loro sono stati feriti o hanno dovuto piangere i fratelli e gli amici uccisi.

E in effetti, proprio nel 2018, l’anno in cui il film è stato girato, venne organizzata la grande Marcia del Ritorno per ricordare i settanta anni trascorsi da quando, con la nascita dello Stato d’Israele (1948), molti palestinesi furono costretti a lasciare le loro terre. Dal 30 marzo 2028, per sette volte, tutti i venerdì, migliaia di manifestanti si sono radunati lungo il confine con Israele per rivendicare i loro diritti nazionali, tra cui quello del ritorno dei profughi nelle loro terre. Anche Argo raccontò allora, con testimonianze dirette, quei ‘venerdì’ che lasciarono sul terreno 47 morti e migliaia di feriti.

Ormai la Gaza dei giovani che chiacchieravano con Usberti non c’è più. Ci sono solo macerie e persone che muoiono di fame. Macerie sotto le quali persone ancora vive chiedono aiuto ma non possono riceverne, perché non ci sono mezzi per scavare e perché nel frattempo continuano a piovere bombe, senza sosta. Lo ha raccontato in diretta – dopo la proiezione – al-Hassan Selmi, giornalista, fotografo e videomaker palestinese, che ha ricordato anche i molti colleghi uccisi in quanto testimoni scomodi. “Continuate a parlare di Gaza” ha chiesto, “non ci dimenticate”.

E’ impossibile dimenticare, ma rischiamo di usare parole “spuntate” per fermare questo genocidio. Infatti, a fronte di una mobilitazione internazionale e capillare, come da tempo non si vedeva, che chiede innanzitutto l’immediato cessate il fuoco, il “mondo occidentale” (USA, UE, G7 ) e gli stessi stati arabi della regione continuano a permettere ad Israele la reiterazione di azioni militari che, se decise da altri stati, avrebbero immediatamente portato a durissime condanne, alla rottura dei rapporti diplomatici, all’erogazione di sanzioni.

Nonostante tutto, Catania e i catanesi non demordono. Domenica, 25 maggio alle 17,30 dalla Villa Bellini (via Etnea) partirà l’ennesimo corteo promosso da Catanesi Solidali con il Popolo Palestinese (una rete che vede insieme associazioni sindacali e politiche e singoli aderenti) per ribadire che, come scrivono nei volantini, “Ci rifiutiamo di essere complici, come fa il governo Meloni che non condanna il genocidio e non rompe i rapporti diplomatici. Noi non ci voltiamo dall’altra parte”.

Chiedono: “lo sblocco immediato degli aiuti umanitari, pace subito e ritiro di Israele dai territori occupati, liberazione dei prigionieri palestinesi e degli ostaggi israeliani, blocco delle esportazioni di armi verso Israele, lo smantellamento delle basi militari della NATO e/o degli USA in Italia, la smilitarizzazione di Sigonella, Augusta, Muos, il boicottaggio dell’economia di guerra israeliana, dei prodotti che provengono dai territori occupati, delle relazioni accademiche e diplomatiche”.

Per domani, sabato 24 maggio, a livello nazionale è stata lanciata una inziativa in cui tutti possiamo esprimere il nostro rifiuto di essere complici dello sterminio dei palestinesi. Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, ha invitato ad esporre fuori dalle nostre finestre, dai nostri balconi, anche sulle nostre bacheche social, dei lenzuoli bianchi, a imboleggiare i sudari con cui vengono avvolti i bambini, le donne, gli uomini uccisi, o lasciati morire, sotto i bombardamenti israeliani.

Leggi anche “Il sistema giuridico discriminatorio di Israele, il diritto all’acqua

Argo

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  • Oggi in via Umberto I a Catania ci sono soltanto 2 lenzuola- sudario esposte per i morti di Gaza: 1 dal balcone dello studio di Giulio (Toscano, mio marito), l’altro dal balcone del mio studio. Ne esporro’ anche in altri balconi, a compensare la totale indifferenza,, come se qui morti vecchi, maturi, giovani e bimbi, uomini e donne, come se quei bimbi denutriti Gino alla compromissione irreversibile degli organi e della psiche non fossero i nostri .

  • Ora nel palazzo Toscano in via Umberto I a Catania le lenzuola sono 7. In 3 degli appartamenti . Grazie a Maria Victoria D’Acosta Cabrera, nostra nuora di Montevideo.
    Spero ancora in nostro figlio Antonello .
    Ma sembra che non ce ne siano altre.

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Argo

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