Approvato dalla Giunta il 2 ottobre 2024, su proposta di delibera del direttore dell’Urbanistica, l’atto di indirizzo del nuovo Piano regolatore (PUG, piano urbanistico generale), è solo il primo passo di un percorso che dovrebbe portare alla redazione di un nuovo strumento di pianificazione per la città.
Il testo individua obiettivi e strategie a cui devono rifarsi i progettisti incaricati della formulazione del nuovo Piano. Un documento lungo e complesso che ha suscitato perplessità e dibattito, soprattutto dopo la sua presentazione sul quotidiano La Sicilia, a firma di Biagio Bisignani, considerata tendenziosa e manipolatoria da parte di un gruppo di associazioni che ha chiesto e ottenuto dal giornale lo spazio per una replica.
Martedì 19 novembre, al Museo Diocesano, l’atto di indirizzo è stato presentato e discusso in un incontro organizzato dal Cantiere per Catania, che ha voluto aprire un percorso di conoscenza su un tema così importante per la città, nella prospettiva di dare un proprio contributo alla “convivenza sociale e alla democrazia”, come ha sottolineato il coordinatore Claudio Sammartino ricordando anche le recenti parole di papa Francesco a Trieste “senza la partecipazione, la democrazia è malata”.
Ad illustrare il documento è stato invitato il Vicesindaco e assessore all’Urbanistica Paolo La Greca, ordinario di tecnica e pianificazione urbanistica all’Università di Catania, che Sammartino, nella qualità di moderatore dell’incontro, ha accolto con un ringraziamento ma anche con una sollecitazione. Nel procedimento di elaborazione del nuovo Piano ha chiesto che venga realizzata una reale partecipazione di cittadini, associazioni e gruppi sociali, sulla falsariga di quanto si era cominciato a fare nella fase di elaborazione del Piano precedente, poi interrotto. “Quale esito avranno – ha infatti aggiunto – i contributi presentati dagli esponenti della società civile nel 2020?”
Non è stata l’unica domanda posta all’assessore. Quale idea di città l’Amministrazione sta proponendo in questo documento? ha chiesto il moderatore. “Una città vista solo come volumi da edificare, oppure una città pensata per le persone, le famiglie, i gruppi sociali? Una città in cui siano prioritarie la sicurezza e l’inclusione?”.
Sicurezza che non sia intesa solo come ordine pubblico, ma come azzeramento, o almeno contenimento, dei rischi che minacciano la persona, fulcro della vita colletiva. “Cosa c’è su questo nel Piano?” ha proseguito Sammartino portando l’esempio concreto, e recente, degli eventi meteorici estremi e delle conseguenti alluvioni con potenziali vittime. Eventi estremi per i quali – ha precisato – è necessario prevedere anche centri di coordinamento dei soccorsi e piani di percorribilità delle strade.
Ancora. Cosa prevede il Piano per il centro storico? Come pensa l’Amministrazione di intervenire nei confronti della desertificazione, ormai generalizzata, del centro urbano sempre più volto ad attrarre i turisti con la conseguenza di allontanare i residenti, e con essi scuole e altri servizi?
E cosa si prevede, nelle direttive del Piano, per promuovere l’inclusione e ricucire il tessuto sociale cittadino, lacerato dalla presenza di periferie sociali, siano esse collocate nel centro urbano o poste anche fisicamente ai margini, che rendono critica la partecipazione di giovani, studenti, lavoratori alla vita della città?
Domande incalzanti che non hanno trovato risposta nell’intervento di La Greca, che si compiace di citazioni dotte, di richiami a concetti generali, di sicuro condivisibili (cambiamento, crescita, rigenerazione…) ma non calati nella realtà, tanto meno tradotti in impegni precisi.
E le osservazioni non erano ancora finite. L’assessore ha trovato, al museo diocesano, non soltanto un uditorio attento, ma anche un gruppo di cittadini che aveva lavorato sulle 175 pagine dell’atto di indirizzo, analizzandolo per cercarvi gli orientamenti in grado di rispondere ai problemi della città, quelli che concretamente noi tutti rileviamo, nella vita quotidiana.
Interrogativi sugli edifici che sempre più spesso si ergono in modo incongruo e innaturale rispetto al contesto delle costruzioni circostanti, utilizzando premialità volumetriche di dubbia legittimità; sulle botteghe trasformate dall’oggi al domani in case vacanze grazie a cambi di destinazione d’uso che lasciano perplessi; sui quartieri di case terrane stravolti da demolizioni e ricostruzioni che non rispettano l’originale configurazione urbanistica; e via discorrendo.
Li hanno posti Tiziana Cuccia, docente presso il dipartimento di economia, e il giovane architetto Piccinini, aprendo di fatto la strada a dubbi su un modo di procedere ormai diffuso che presuppone disinvolti permessi di costruire o mancanza di adeguati controlli. Situazioni a cui le direttive di Piano non accennano e di cui non vengono indicate le opportune correzioni.
Ma c’è anche il problema del verde, della cui carenza Catania soffre tantissimo e per il quale non vengono previsti meccanismi atti ad accrescerlo, preservarlo, averne cura. E il caso degli edifici scolastici considerati superflui a causa del previsto calo demografico senza prendere nemmeno in considerazione la loro trasformazione in centri di quartiere o luoghi di incontro delle comunità locali, di cui una città, tanto più se pensata con attenzione al futuro, ha certamente bisogno.
I successivi interventi programmati di Carlo Colloca e Alessio Biondo, docenti universitari, e quello non programmato di Carla Barbanti (Confcooperative), hanno contribuito a mettere a fuoco ulteriori questioni.
La rigenerazione urbana, ad esempio, che non ha solo una dimensione edilizia, ma anche sociale, culturale, economica. Cosa prevede il Piano per fare di Catania una città cosmopolita, multietnica, multiculturale e quindi sempre più inclusiva? E come è stato pensato il sistema dei trasporti, servizio essenziale ma anche importante strumento di integrazione sociale, soprattutto per gli abitanti delle periferie marginalizzate?
E ancora: il tema dell’energia da inserire in una visione strategica, e quello di soluzioni abitative nuove, rispetto al tradizionale modello di edilizia residenziale pubblica, che possano rispondere alla domanda diffusa di alloggi sociali.
Tutti temi caldi, temi sui quali l’atto di indirizzo del Pug risulta carente, quando non ne tace del tutto.
Sarebbe toccato al professore La Greca rispondere in modo puntuale alle questioni poste dai partecipanti al dibattito, ma queste risposte non ci sono state. Schivando le domande, l’assessore ha preferito volare alto, richiamare i principali obiettivi posti dall’Unione Europea, citare le esperienze di grandi città europee come Londra o Parigi, portare esempi anche personali di ‘buone pratiche’. Da buon affabulatore qual è, sarebbe rimasto a conversare amabilmente ancora a lungo, come ha detto esplicitamente. Ma forse non era quello che ci si attendeva da un amministratore di una città difficile come Catania, che sta iniziando un percorso per disegnare il proprio futuro.