La tutela dei beni culturali, e di quelli archeologici in particolare, è un argomento al quale Argo ha sempre dedicato grande attenzione. Molto utili ci sono state, su questo tema, le esperienze sul campo e le competenze dell’archeologa e saggista Francesca Valbruzzi.
In dialogo con il grande studioso Salvatore Settis, Valbruzzi si interroga oggi sul valore della memoria storica e sul nesso esistente tra memoria e senso civico, a partire dall’ultimo libro di Settis, “Registro delle assenze. Profili e paesaggi”, pubblicato nel 2024 da Adriano Salani Editore.
Il libro è una composizione sinfonica dei “profili” intellettuali e dei “paesaggi” dell’anima che hanno accompagnato le diverse fasi della vita dell’autore, e, attraverso la rassegna degli “incontri”, diviene un romanzo di formazione dal sapore autobiografico.
Rappresenta l’opera più recente di un infaticabile intellettuale che ha saputo coniugare l’alto Magistero di Archeologia nella Normale di Pisa con la responsabilità di grandi Istituzioni culturali, come il Getty Research di Los Angeles e il Consiglio Scientifico del Louvre e l’impegno diretto nella politica dei beni culturali, come Presidente del Consiglio Superiore, ma anche come attivo sostenitore delle “azioni civili” in difesa del patrimonio culturale e paesaggistico, tra le quali il movimento No Ponte.
Francesca Valbruzzi
Nelle emozionanti pagine di questo “Registro delle assenze”, che è, in realtà, una rassegna di “presenze” ancora vitali nella Cultura italiana, ripercorrendo la galleria dei ritratti dei Maestri incontrati dall’Autore, ricorre “la necessità di affermare e difendere il forte nesso fra memoria dei monumenti, cultura politica e senso civico” che rappresenta “l’energia che viene dalla storia, e insieme un lievito che rischiamo di perdere per strada: la speranza”. Attraversa tutto il libro, infatti, l’idea che lo studio del passato sorga dal radicamento nel presente e dalla convinta volontà di agire su di esso per realizzare un futuro migliore.
Volendo riprendere dal libro un’illuminante citazione di Aby Warburg, “lo storico è un profeta volto all’indietro”, quale futuro vede Lei, oggi, nel passato?
Salvatore Settis
Come il presente, anche il futuro dipende dal passato: dalla storia per come è avvenuta, ma anche per come è stata raccontata, interpretata, e talvolta falsificata. Perciò conoscere il passato è essenziale; ma va conosciuto in tutti i suoi aspetti: quel che si può recuperare degli eventi “per come sono realmente avvenuti”, ma anche le manipolazioni a cui il passato è sempre assoggettato (e lo è ancora). Se un essere umano vuol sapere da dove vengono i suoi comportamenti e il suo modo di affrontare le incertezze della vita, ricorre a una qualche forma di anamnesi (per esempio la psicanalisi), che invariabilmente comporta il recupero e l’interpretazione della propria infanzia.
Egualmente, per capire la società dobbiamo fare il massimo sforzo di conoscerne il passato, e non solo quello prossimo, ma anche quello assai remoto. Perciò la crescente marginalizzazione dello studio della storia è un tragico errore, di cui pagheremo le conseguenze se non provvederemo presto a correggerlo. Chi va avanti senza mai guardare indietro si acceca.
Francesca Valbruzzi
Un altro tema dominante del libro è l’urgenza di salvaguardare il connubio inscindibile di Arte e Natura che rende unico il nostro Paese. L’Autore richiama le parole, espresse nel 1947, durante i lavori della Costituente, dal grande archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli, allora Direttore Generale del Ministero, per affermare che: “La tutela delle bellezze naturali non può in alcun modo essere disgiunta da quella delle antichità e belle arti e deve essere sottoposta alla medesima regolamentazione legislativa” per questo “assegnare la tutela del Paesaggio alle Regioni equivarrebbe alla rovina rapidissima e irreparabile del nostro patrimonio artistico, che non ha per noi solo un valore morale, storico, ma un altissimo valore economico. Dunque non si distrugga il regime centrale della tutela.”
Purtroppo il monito di Bianchi Bandinelli e di alcuni Costituenti, tra cui il latinista Concetto Marchesi, cui si deve, insieme ad Aldo Moro, il bellissimo articolo nove della nostra Costituzione, non ha impedito che in Sicilia la tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico fosse delegata dallo Stato alla Regione nel 1975.
La scelta politica di dare attuazione allo Statuto autonomistico del 1946, dopo una breve stagione di speranze democratiche ed “utopia” autonomistica, ha avuto, negli ultimi decenni, le gravi conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Eppure il disastro siciliano non ha dissuaso le Regioni del Nord dal chiedere un’analoga autonomia in materia di beni culturali, anzi le ha incoraggiate. In particolare fa gola ai “separatisti” la possibilità di liberarsi dai lacci e lacciuoli delle Soprintendenze, rendendole inoffensive come è accaduto in Sicilia, dove i professionisti dei beni culturali, archeologi, storici dell’arte etc., sono stati allontanati dalla direzione degli Enti di tutela.
Come Lei sa bene, le principali associazioni nazionali di tutela in questi ultimi anni hanno elaborato una proposta condivisa per trovare soluzioni concrete al caos istituzionale del sistema regionale dei beni culturali e garantire, così, che in Sicilia sia adempiuto l’obbligo costituzionale di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. Lei ha sostenuto questa azione civile e, da ultimo, ha firmato, insieme a molti altri esperti del settore, l’appello promosso dalle associazioni, richiedendo al Governo regionale il rispetto delle competenze specialistiche nell’assegnazione degli incarichi di responsabilità nelle Soprintendenze e nei Luoghi della cultura siciliani.
Purtroppo, però, queste richieste non sono state finora ascoltate dall’esecutivo regionale che prosegue, invece, nello smantellamento del sistema multidisciplinare di tutela. L’articolo nove, nel testo approvato nel 1947, recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione”. Le chiedo: se la Repubblica siamo noi cittadini e le nostre istituzioni democratiche, come possiamo oggi rendere concreto questo dovere civico?
Salvatore Settis
L’importanza e la radicalità dell’art. 9 nella sua formulazione originaria sono dimostrate dalla costanza con cui esso viene attaccato, smontato, contraddetto, inquinato, anche da chi ha giurato fedeltà alla Costituzione. La devoluzione alle Regioni delle competenze di tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico è un caso particolarmente grave, anche perché questo rischio era stato puntualmente previsto, da un Costituente siciliano, Concetto Marchesi, che vedendo quel che cominciava ad accadere nei primissimi tempi di una ancor debole autonomia siciliana, aveva voluto (con Aldo Moro) quella formulazione che Lei ha ricordato proprio per arginare quello che Marchesi chiamò, risulta dai verbali della Costituente, “la raffica regionalistica”.
Ma la raffica riprese, e proprio dalla Sicilia, con la piena devoluzione della tutela alla Regione, singolarmente concessa dal Parlamento sei mesi dopo la fondazione del Ministero dei Beni Culturali, propagandata come piena sollecitudine del governo nazionale per i temi della tutela. Ma se il nuovo Ministero indicava il desiderio di meglio tutelare, come mai sei mesi dopo il governo nazionale sottraeva alla competenza del neonato Ministero la Sicilia, la più vasta regione italiana e una delle più ricche di beni culturali e paesaggistici di assoluta unicità?
A questo “primo atto” della raffica regionalistica, che già inverava la profezia di Marchesi, seguì il secondo (squallido) atto, quando nel 2001 un governo di centro-sinistra, col dichiarato scopo di limitare l’influenza della Lega, s’indusse invece a inseguire la Lega con la riforma costituzionale che consente l’autonomia differenziata. E quando oggi la Lega e alcune regioni (Lombardia e Veneto amministrate dalla destra, ma anche Emilia-Romagna nominalmente “a sinistra”) rivendicano forme di autonomia differenziata, hanno purtroppo ragione di dire che è una riforma costituzionale di centro-sinistra che li autorizza a farlo.
Non meno grave è un altro attacco frontale all’art. 9, la sua radicale modifica nel 2022, con voto quasi unanime del Parlamento: la prima volta in cui dal 1948 si osa modificare uno dei 12 principi fondamentali della Costituzione (e c’è da scommettere che questa prima volta non sarà l’ultima).
La modifica aggiunge al testo originario la tutela di “ambiente, biodiversità ed ecosistemi”, che erano già ampiamente tutelati dalla formulazione precedente come mostrano numerose sentenze della Corte Costituzionale. Ma la nuova formulazione dell’art. 9 ha subito ingenerato una sorta di dicotomia paesaggio/ambiente, che possono esser giocati in conflitto l’uno con l’altro.
Ci sono oggi anche associazioni ambientalistiche e ministri o ex-ministri (Cingolani) secondo cui le pale eoliche o i pannelli solari, anche se distruggono preziosissime aree agricole e paesaggistiche, sono comunque da incrementare perché proteggono l’ambiente. Di questa perversione dell’art. 9 nessuno, in Parlamento, si è reso conto. Non un gran segno per il Paese.
Ecco un esempio in cui la mancanza di conoscenza del passato (e cioè del significato storico dell’art. 9, del dibattito nella Costituente eccetera) ha conseguenze nefaste per noi tutti.
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Interessante la segnalazione. Comprerò il libro. Seguo da anni il pensiero di Salvatore Settis, per altro autore del concetto di “Paesaggio etico”.
In proposito segnalo un suo libro il contenuto del quale io sto studiando con lentezza quanta attenzione ogni frase richiede, “Architettura e democrazia”.
L’età di Settis per fortuna ancora non ostacola il contributo prezioso che lui continua ad elargire al pensiero contemporaneo, all’evoluzione e alla diffusione delle sue sollecitazioni.