Viale Africa, una sentenza e tante perplessità

In viale Africa, dove sorgeva il Palazzo delle Poste, si sarebbe potuto realizzare un parco urbano con un affaccio diretto sul mare. Lo avevano chiesto cittadini, partiti e associazioni, ma le istituzioni, dalla Regione al Comune al Ministero della Giustizia, hanno detto di no. E il Tar, con la sentenza del 23 giugno scorso, ha dato loro ragione, respingendo il ricorso promosso dall’Osservatorio per le Politiche Urbane e Territoriali e da alcuni consiglieri comunali, regionali e nazionali, del Movimento 5 Stelle. In quell’area sorgerà l’edificio che ospiterà i nuovi Uffici Giudiziari.

E pazienza per il verde (e per il mare). Catania troverà un altro modo per ridurre il grosso deficit di verde di cui la città soffre rispetto agli standard previsti dalla legge? Più probabile che rimanga com’è adesso, una città in balia delle crescenti ondate di calore, priva delle alberature che possano svolgere quel ruolo di mitigazione climatica di cui si avverte sempre più la necessità. Con buona pace dei minimi definiti ‘inderogabili’ già dal 1968, quando ancora non si pensava ad introdurre la tutela dell’ambiente nell’art. 9 della Costituzione, come di recente è avvenuto.

Sull’argomento ospitiamo oggi l’intervento di Arturo Palermo, ingegnere di lunga esperienza che si occupa di urbanistica e lavori pubblici, il quale esprime le proprie perplessità su alcuni passaggi della sentenza del Tar che dà il via libera alla costruzione dei nuovi Uffici Giudiziari.

In data 23 giugno è stato pubblicata la sentenza del TAR avverso il ricorso presentato dall’Osservatorio per le politiche urbane e territoriali ETS e da alcuni consiglieri comunali e regionali del Movimento 5 stelle con riguardo alla procedura amministrativa che ha consentito la costruzione del palazzo di giustizia di viale Africa.

Molti punti della sentenza appaiono singolari, e qui se ne illustra uno, tra i tanti, che appare il più strano.

Nel ricorso presentato era stata sollevata, tra l’altro, la questione di incompatibilità con l’assetto territoriale della costruzione del palazzo di giustizia in viale Africa, con specifico riguardo alla violazione degli indici urbanistici in tema di verde pubblico e di parchi urbani, definiti come limiti inderogabili dal D.M. 1444/1968.

A tal proposito il Collegio giudicante del TAR cita quanto asserito dal Comune di Catania, che, cioè, la realizzazione del palazzo di giustizia si configura come “ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione di un preesistente edificio” e, pertanto, l’assetto territoriale, di fatto, non sarebbe stato modificato. Il Collegio riporta pedissequamente tale affermazione dell’Amministrazione comunale, a mio parere del tutto erronea e priva di fondamento, ma non ne spiega in alcun modo, con adeguata motivazione, la giustezza, ovvero l’incongruenza.

In realtà, l’edificio si sta realizzando in virtù di una vera e propria variante urbanistica su progetto approvato dall’Assessorato Regionale al Territorio e Ambiente, che decreta l’approvazione del progetto definendolo “Ricostruzione nuovi Uffici Giudiziari in variante alla strumento urbanistico del Comune di Catania”. Inoltre, è lo stesso decreto assessoriale di approvazione del progetto in variante a sostenere che l’area sulla quale si sarebbe dovuto realizzare il palazzo di giustizia, una volta demolito il preesistente edificio delle poste, è ritornata alla precedente destinazione urbanistica, cioè di verde pubblico e zona industriale e portuale.Nessuna ristrutturazione edilizia si sarebbe potuta realizzare in area la cui destinazione urbanistica era ritornata quella a verde e attrezzature pubbliche. Se si fosse trattato di “ristrutturazione edilizia”, inoltre, quale autorizzazione amministrativa sarebbe stato sufficiente un semplice “permesso di costruire” rilasciato dal dirigente dell’ufficio urbanistica del Comune, senza ricorrere alla variante del PRG.

Ancora, il Collegio sostiene che l’unica norma indicata dai ricorrenti per contestare la legittimità dei provvedimenti amministrativi che hanno consentito la realizzazione del palazzo di giustizia in variante al PRG sarebbe quella contenuta nella legge regionale del 2020 “Norme per il governo del territorio”, la quale, tra l’altro, come specificato in ricorso, tra l’altro cita: “Gli interventi di rigenerazione urbana perseguono prioritariamente l’obiettivo di potenziare e qualificare la presenza delle aree a verde all’interno dei tessuti urbani”.

In realtà, nel ricorso si contestava soprattutto che i provvedimenti di autorizzazione del progetto in variante avessero violato gli indici urbanistici in tema di verde pubblico, definiti dalla dal D.M. 1444/1968 “minimi inderogabili”, nonostante la stessa amministrazione comunale, nell’anno 2019, avesse esplicitato nelle direttive generali per la redazione del nuovo Piano Regolatore che la quantità di verde pubblico e parchi urbani fosse deficitaria, rispetto agli standard di legge, di una quantità pari a 1.600.000 metri quadrati.

Il Collegio giudicante conclude il paragrafo sulla presunta incompatibilità con l’assetto territoriale affermando che le norme sui minimi inderogabili di verde pubblico e parchi urbani invocate dai ricorrenti non possono riconquistare alla loro originaria consistenza aree destinate dallo strumento urbanistico vigente a verde pubblico che, come nel caso di specie, esistono soltanto sulla carta e non “in rerum natura”. Ciò perché tali aree sono state “già modificate dall’impatto antropico”. Quanto sopra, più in generale, significherebbe che le previsioni di Piano regolatore riguardanti le zone a verde o quelle destinate ad attività collettive, cioè di pubblica fruizione, possono essere rispettate solo allorchè le attività dell’uomo non abbiano modificato l’ambiente circostante.

Tale concetto è l’assoluto contrario di quanto previsto dalle norme urbanistiche, le quali intendono tutelare, in maniera assoluta, le aree destinate a verde pubblico o ad attività collettive. In nessun caso si possono realizzare attività di nuova edificazione nelle zone destinate dal PRG a verde e ad attrezzature pubbliche, pur se la zona circostante è irrimediabilmente antropizzata.

Argo

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  • E'terrificante pensare l'assoluta ignoranza in cui versa la Magistratura amministrativa sui temi dell'urbanistica e degli standard urbanistici, in particolare. La motivazione citata dall'ing. Palermo e sopra trascritta fa solo....ridere di compassione ed induce a riflettere in che mani siamo caduti nel momento in cui pensiamo di tutelare il suolo e l'ambiente facendo affidamento su giuristgi di vaglia e sulla magistratura amministrativa , tanto ammirata da chi deve investire quattrini. Una deliziosa chicca posso citare sul tema della variante urbanistica che un giudice civile , in sede di denuncia avverso il provvedimento che ha autorizzato la malefica torre di via Acireale in Catania nella zona di Ognina, ha avallato e condiviso una soluzione offerta da un ingegnere (persona che dovrebbe conoscere il diritto urbanistico ) il quale ha avuto l'ardire di affermare che in quel caso si era di fronte ad una "variante di fatto". Chi capisce l'errore madornale in cui è incorso il tecnico ed il magistrato che l'ha condiviso , può valutare l'abissale ignoranza che invade le menti dei nostri tutori o presunti tutori dell'ambiente. La variante di fatto non esiste. O c'è o non c'è se non è stata regolarmente approvata. Purtroppo la leggerezza mentale o meglio il " vuoto di conoscenze "in tema di diritto del suolo e dell'ambiente si riscontra in tutti i rami della magistratura. Ed in questi casi, l'ignoranza serve . Agevola investimenti e soldini.

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